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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 27.1924

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Fasc. 4
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Venturi, Adolfo: Il Bramantino: il centro della volta nella stanza vaticana della segnatura - il Cristo di Chiaravalle
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https://doi.org/10.11588/diglit.17344#0210
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ADOLFO VENTURI

disposti da Raffaello nel soffitto in rettangoli e tondi chiusi fra zone di fulgido musaico,
ci riconduce al mondo umbro, del Perugino e del Pinturicchio, l'occhio ottagono, lon-
tana derivazione mantegnesca, subito rievoca la cappella Carata in Napoli, la balaustra
che appare e dispare, celandosi dietro la cornice. E il ritmo della composizione è ben più
nervoso e libero di quello cui ci abituano le composizioni calme dell'Urbinate; gli scorci,
che moltiplicano i piani della costruzione, sono ardimenti ignoti all'arte di Raffaello
e prediletti dal Suardi: basti rievocare gli angioletti dolenti nelle Pietà dipinte dal Lom-
bardo. Ma soprattutto il fantasioso motivo delle funi tratte a viva forza dai fanciulli,
come per fissare il tondo con le armi papali alla cornice, riecheggia lo spirito che anima
la cappella Carata.

L'ideatore della sepolcrale cappella Trivulzio, Pantheon augusto, sacro al silenzio e
alla gloria nella nudità delle eccelse pareti, della cupola a raggi, delle arche severe, nel
ritmo solenne degli spazi, si abbandona, dipingendo il cielo della Cappella Carata e della
Stanza della Segnatura, a una briosa fantasia di colore: i geni dell'occhio vaticano po-
trebbero trovare riscontro con i putti-farfalla del Romanino, per le gioiose giravolte entro
le svolazzanti gonnelline festonate a corolla di fiore. Ne mai il Sodoma, cui la pittura del
soffitto sulla prima stanza di Raffaello fu attribuita, ebbe tanta audacia costruttiva quanta
si spiega nel movimento a direzione prevalentemente trasversa dei putti, che suggerisce,
proprio come nell'occhio e nei pennacchi della cappella Carafa, complessità di piani; nò
Raffaello amò valersi, per decorazioni di vòlta, di sfondi aperti sul cielo, ma trasportò
nei campi geometrici della prima sala le stesse composizioni serrate plastiche delle pareti,
studiandone con la sua innata grazia l'equilibrio ritmico nel campo del tondo o del rettan-
golo, e unendole, per i massici orli musivi che vengono ora a cingere anche l'ottagono
bramantinesco, ai minori quadrangoli e triangoli curvilinei. Nella seconda stanza evocò
l'intarsio marmoreo, inserendo figure chiare rosate, a vivido frastaglio, nel fondo azzurro
cupo; solo al centro della cupola sopra la cappella Chigi in Santa Maria del Popolo
aperse un occhio di cielo, ma la gigante figura dell'Eterno s'innalzò dal cerchio di cornice
come statua dalla sua base marmorea; e gli angioletti, liberamente mossi dal Bramantino
nell'aere libero, rimasero aderenti alla cornice stessa della cupoletta raffaellesca, incapaci
di staccarsene per librarsi nel vuoto. Raffaello seguì dunque, nelle pitture di volta, la
tradizione umbro-toscana, dalla quale si stacca il Bramantino, lanciando le sue forme
rotonde e vacue, trasparenti e rasate, nel vuoto; presentendo, avanti il Correggio, effetti
di prospettiva aerea. Da questi oculi bramantineschi si giunge ai tumulti delle volte di
Gaudenzio Eerrari.

li noi siamo lieti di cancellar il tradizionale errore che ascriveva al mellifluo
Sodoma i putti in gioconda libertà turbinanti a scompigliar l'ordine ritmico delle compo-
sizioni raffaellesche nel cielo della prima stanza, e di indicare agli studiosi d'arte questo
frammento, rispettato da Raffaello, del grande Lombardo, che mentre la pittura della
sua terra andava falsando le doti indigene nel manierismo nato dall'imitazione di Leo-
nardo, si isola, gigante solitario, nell'astrazione delle sue forme geometriche, negli ardi-
menti di una fantasia creatrice.

* * *

A Donato Bramante una tradizione secolare ascrive il Cristo della Badia di Chiara-
valle (fig. 3), ora nella pinacoteca di Brera, aggiunta preziosa ai capilavori del Quattrocento
nella galleria milanese. Ma, se appena ci togliamo per un istante alla schiavitù della tra-
dizione e al sostegno che le dà la fama di Bramante architetto, un dubbio turba il nostro
pensiero; quando mai l'Urbinate, in pittura, raggiunse il valore di questa stupenda crea-
zione? Non certo nelle due mascherette raffigurate, a contrasto, davanti a un tavolo,
la mascheretta scarna, angolosa di Eraclito piangente, e la gonfia testa di Democrito
col suo vacuo sorriso; non negli uomini d'arme di casa Panigarola, massicci, impettiti,
con vaste zazzere arricciate. In tutte queste immagini, costruite con una grandiosità
 
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