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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 28.1925

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Fasc. 3
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Ortolani, Sergio: Di Gian Girolamo Savoldo
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https://doi.org/10.11588/diglit.17345#0194

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SERGIO ORTOLANI

plice episodio esornativo; nè s'io attento l'ipotesi che il pittore, il quale avvia al com-
pito di pungenti ritratti paesani gli zucconi dei S. Girolami e la facce dei pastori
oranti nelle Natività del Quattrocento, secondo un atteggiamento schiettamente fiam-
mingo, si rifaccia assai da presso al Van der Goes di S. Maria Nova di Firenze, specie
nella singolare imitazione d'alcuni particolari come le mani e le sagome stesse dei volti
minuziosamente lavorati dalla luce; o almeno ci riporti a qualche simile esemplare di
Fiandra. Una realtà lombarda sensibilizzata da Leonardo e modificata da una con-
fluenza tedesco-fiamminga: ecco una definizione sommaria dell'opera e del pittore.
Sviluppando questi elementi verso un più schietto « paesismo » che tende a Venezia è
verso una più sottomessa dipendenza dal modulo fiammingo, avremo, per esempio, quella
tavoletta del S. Gerolamo orante che, ascritta all'Holbein o a Ignoto ligure-nizzardo, può
essere da tutti osservata nella Galleria di Palazzo Rosso in Genova 1 e certo stimata vicina
alla località storica e individuale del nostro pittore.

Tale intricata interferenza di spunti, ricordi e tendenze ci riporta quindi intorno
al 1510; e se si volesse tener fede alla scritta del quadro, nasce il dubbio che soltanto il
Burckhardt vi abbia letto giustamente e che il restauratore moderno abbia seguito il
Cavalcasene e il Bode nell'interpretare quell'ombra dell'antica scrittura scambiando un
uno con un sette. Il sospetto diventa più vivo quando si ricordi che Jacopo era il nome
del padre di Giangirolamo, e l'esser Jacopo intitolato dominus o misèr (messere) nei
documenti, mentre conferma in certo modo la tradizione che la famiglia dei Savoldi fosse
di nobile o almeno borghese estrazione, ben sorreggerebbe quel donavit, che sembra si
addica a un signore dilettante meglio che a un pittore di mestiere. È poi da aggiungere
che le varie dipendenze culturali indicano che l'artista non invecchiò in Brescia con-
tinuando provincialmente il Foppa e concedendo alla mediocrità del Ferramola e del
Civerchio, ma assai esperì e viaggiò, assai maniere vide e sebbene realizzasse una natura
schiettamente rude e popolana, fu straviato in ricerche laterali e raffinate che rivelano un
carattere curioso e sperimentatore, con una tipica vena d'elaborato e d'accademico,
ragione dell'aspetto quasi « manierizzante » di questa pittura. Infatti l'approfondita
proprietà del linguaggio parrebbe escludere che qui si tratti d'un principiante: al con-
trario tutto sembra definire l'artefice scaltro e maturo che mette in opera la sua mescolata
cultura sforzandosi di nutrire e intensificare come meglio può l'istintiva semplicità
provinciale. Riesce egli tuttavia a fermare nell'opaca profondità del colorito, attra-
verso cui le immagini affiorano come sotto un oleoso strato di quarzo, un singolare sen-
timento del silenzio, dell'immobile raccoglimento in un gesto che quasi disperde ogni
tipicità storica e aneddotica dalla scena per esprimere soltanto l'isolamento favoloso di
questi eroi della meditazione, circondati dal paese immenso. E qui sembra s'incontrino
un nuovo senso genericamente « nordico » e « romantico », inteso come emozione fanta-
stica delle formali, aree e luminose relazioni, e uno spirito circospetto, ostinato e con-
templativo. È questa dunque l'opera di Jacopo di Piero dei Savoldi, già morto nel 1526
o una delle prime affermazioni di Giangirolamo, nato forse prima del 1480, immatri-
colato pittore a Firenze nel decembre del 1508, e quindi almeno trentenne? A ciò pos-
sono rispondere soltanto le altre opere attribuite a lui.

La più vicina è certo quest'inedito Profeta Elia, tavola ad olio appartenente al
sig. Charles Loeser di Firenze * e della quale, per somma cortesia del proprietario, m'è
concesso qui di pubblicare la riproduzione (fig. 1). Data la sua provenienza dalla
Galleria Manfrin, parmi fuori di dubbio che sia questa la pittura a cui allude il Caval-

1 Stanza dell'estate, n. 10.

3 Ringrazio qui, per la loro squisita gentilezza
nell'aiutarmi a ricercare e ottenere le fotografie
delle opere del Savoldo, il senatore A. Venturi,

il prof. Lionello Venturi, il sig. Bernardo Berenson,
il dott. Ernst Steinmann, il sig. Robert Witt e il
dott. Eberhardt Hanfstaengl.
 
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