RAVENNA E I PRINCÌPI COMPOSITIVI DELL'ARTE BIZANTINA
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cretazione della sua scoperta teorica; noteranno
cioè una imperfetta coerenza logica o debolezze
di critica estetica. La fermezza del punto di par-
tenza non è affatto scossa, ed alla sua genialità
ci inchiniamo.
Venendo alle determinazioni dell'arte romana,
che debbono essere stilistiche, troviamo le due ben
note: racconto continuato, ed illusionismo impres-
sionistico.
Sono tutte e due davvero caratteri di stile? Sono
conciliabili in un'unica visione?
Più importante criticamente che cercare se la
nascita dei due principi sia contemporanea o per
uno di essi derivata, ci sembra sia porsi queste due
domande e rispondervi. Dopo di che, si potrà vedere
ancora se l'uso che Wickoff fa dei due principi è
sempre legittimo, o se essi non cascano inavverti-
tamente nella serie di modelli pratici.come era la
forma a cui egli si ribellava.
Ci troviamo così davanti all'intero problema del-
l'importanza artistica della maniera di narrazione,
di fronte a un tema dato. Wickoff accetta senza
esame la soluzione positiva ed enumera i modi fon-
damentali; ne trova tre: completativo, continua-
tivo, distinguente.
Non c'è dubbio che, guardando un'opera d'arte,
non va trascurato d'osservare come il soggetto è
stato trattato, come l'argomento esposto. Qualche
volta in questa elaborazione preliminare si svela
l'intento dell'artista; poiché nel suo orientamento
verso uno dei molti aspetti per cui un fatto può in-
teressare, e nella intonazione generale del racconto,
l'artista palesa all'osservatore attento le necessità
della sua visione, le premesse della sua ricostru-
zione ideale. Si possono anche trovare relazioni
quasi costanti tra certi indirizzi distile e certe trat-
tazioni di temi.
Ma si può convertire questa costanza in neces-
sità? Più largamente: l'esposizione del tema è ca-
rattere tale da guidarci traverso la produzione arti-
stica, capace di farci interpretare, valutare, di for-
nirci delle idee sull'arte, esteticamente giuste?
Risponde negativamente alle due domande una
osservazione fatta dal Wickoff stesso: il sistema
narrativo, proprio dell'arte cristiana primitiva,
arriva fino al pieno Cinquecento, appare ancora
in Michelangelo; 1 per suo mezzo l'arte antica cri-
stiana ha trovato modo di sopravvivere al me-
dioevo.2 Basta la possibilità di questo contatto sul
terreno narrativo tra Michelangelo ed i miniatori
dei primi secoli cristiani, per dimostrare che è
questo un elemento che non ha che fare col lavoro
schiettamente artistico; che, se ha con esso rapporti,
1 Wickoff, op. cit., pag. 12.
2 Wickoff, op. cit., pag. 192.
questi non vanno oltre il contingente. Ed è ele-
mento così privo di caratteri essenziali che la fan-
tasia d'un artista può, pure accettandolo, ripla-
smarlo con senso del tutto differente. Così per Mi-
chelangelo. E il raccontare « distinguendo » è forse
proprio soltanto dell'arte ellenistica ?
Tutte le volte che l'esperienza critica trova qua-
lità che vanno «oltre» l'opera d'arte, oltre la ci-
viltà artistica a cui quella si collega, e si manten-
gono valide per civiltà differenti, proprio per tale
persistenza queste qualità non appartengono allo
stile, nè potranno esser prese, se non come sussidio,
da verificarsi ogni volta, all'interpretazione. Come
canone, mai. D'altronde son così poche le forme
narrative e tante le qualità costitutrici di stile,
clie l'adeguazione sarebbe inattuabile.
11 Wickoff aveva pieno diritto di far osservare
10 speciale atteggiamento tenuto nell'illustrazione
dall'arte tardo-romana e cristiana, quello di nar-
rare senza pause, e senza ricostruire per momenti.
Avrebbe completato la scoperta se avesse cercato
11 significato dell'adozione e della permanenza per
tanti secoli di questo modo di raccontare, e molto
probabilmente l'avrebbe trovato relativo ad uno
scadimento della dignità del personaggio e della
figura, diventata membro del racconto, dopo esser
stata generatrice del proprio destino. La stessa
differenza c'è tra l'eroe della tragedia greca, che
porta legata a sè con filo di necessità la sua vita, e
la collana di casi meravigliosi radunati intorno alla
vita di un santo, da cui la figura non esce caratte-
rizzata; sì che spesso il racconto corre riferito ad
altro nome.
Era incapacità a padroneggiare un avvenimento
e a vederne l'insieme, ed un ingenuo abbandono che
si meravigliava e si divertiva. Era elemento indi-
catore di un gusto artistico, non era ancora stile,
e si poteva prestare ad interpretazioni inesatte ed
equivoche.
Questa assenza di ricostruzione d'una scena, pre-
senta affinità con la continuità decorativa a cui
arrivavano qualche volta gli artisti bizantini (come
si vede a S. Apollinare Nuovo di Ravenna, nelle due
schiere di santi), nell'abbandono a fantasie orien-
tali di ritmo e di colore. I due fatti hanno davvero
un fondo comune, ed è l'indifferenza per la indivi-
duazione della figura, ed uno scarso potere di
sintesi intellettiva. Se credessimo invece di tro-
vare nella continuità un criterio di spiegazione
comune, in realtà daremmo alla parola due con-
tenuti differenti. Per l'arte decorativa orientale,
la continuità è proprio la radice della visione;
come sinonimo di decorazione essa vuole che os-
serviamo l'effetto della ripetizione successiva di
uguali elementi, stesi su un piano. Ha il senso del
fregio.
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cretazione della sua scoperta teorica; noteranno
cioè una imperfetta coerenza logica o debolezze
di critica estetica. La fermezza del punto di par-
tenza non è affatto scossa, ed alla sua genialità
ci inchiniamo.
Venendo alle determinazioni dell'arte romana,
che debbono essere stilistiche, troviamo le due ben
note: racconto continuato, ed illusionismo impres-
sionistico.
Sono tutte e due davvero caratteri di stile? Sono
conciliabili in un'unica visione?
Più importante criticamente che cercare se la
nascita dei due principi sia contemporanea o per
uno di essi derivata, ci sembra sia porsi queste due
domande e rispondervi. Dopo di che, si potrà vedere
ancora se l'uso che Wickoff fa dei due principi è
sempre legittimo, o se essi non cascano inavverti-
tamente nella serie di modelli pratici.come era la
forma a cui egli si ribellava.
Ci troviamo così davanti all'intero problema del-
l'importanza artistica della maniera di narrazione,
di fronte a un tema dato. Wickoff accetta senza
esame la soluzione positiva ed enumera i modi fon-
damentali; ne trova tre: completativo, continua-
tivo, distinguente.
Non c'è dubbio che, guardando un'opera d'arte,
non va trascurato d'osservare come il soggetto è
stato trattato, come l'argomento esposto. Qualche
volta in questa elaborazione preliminare si svela
l'intento dell'artista; poiché nel suo orientamento
verso uno dei molti aspetti per cui un fatto può in-
teressare, e nella intonazione generale del racconto,
l'artista palesa all'osservatore attento le necessità
della sua visione, le premesse della sua ricostru-
zione ideale. Si possono anche trovare relazioni
quasi costanti tra certi indirizzi distile e certe trat-
tazioni di temi.
Ma si può convertire questa costanza in neces-
sità? Più largamente: l'esposizione del tema è ca-
rattere tale da guidarci traverso la produzione arti-
stica, capace di farci interpretare, valutare, di for-
nirci delle idee sull'arte, esteticamente giuste?
Risponde negativamente alle due domande una
osservazione fatta dal Wickoff stesso: il sistema
narrativo, proprio dell'arte cristiana primitiva,
arriva fino al pieno Cinquecento, appare ancora
in Michelangelo; 1 per suo mezzo l'arte antica cri-
stiana ha trovato modo di sopravvivere al me-
dioevo.2 Basta la possibilità di questo contatto sul
terreno narrativo tra Michelangelo ed i miniatori
dei primi secoli cristiani, per dimostrare che è
questo un elemento che non ha che fare col lavoro
schiettamente artistico; che, se ha con esso rapporti,
1 Wickoff, op. cit., pag. 12.
2 Wickoff, op. cit., pag. 192.
questi non vanno oltre il contingente. Ed è ele-
mento così privo di caratteri essenziali che la fan-
tasia d'un artista può, pure accettandolo, ripla-
smarlo con senso del tutto differente. Così per Mi-
chelangelo. E il raccontare « distinguendo » è forse
proprio soltanto dell'arte ellenistica ?
Tutte le volte che l'esperienza critica trova qua-
lità che vanno «oltre» l'opera d'arte, oltre la ci-
viltà artistica a cui quella si collega, e si manten-
gono valide per civiltà differenti, proprio per tale
persistenza queste qualità non appartengono allo
stile, nè potranno esser prese, se non come sussidio,
da verificarsi ogni volta, all'interpretazione. Come
canone, mai. D'altronde son così poche le forme
narrative e tante le qualità costitutrici di stile,
clie l'adeguazione sarebbe inattuabile.
11 Wickoff aveva pieno diritto di far osservare
10 speciale atteggiamento tenuto nell'illustrazione
dall'arte tardo-romana e cristiana, quello di nar-
rare senza pause, e senza ricostruire per momenti.
Avrebbe completato la scoperta se avesse cercato
11 significato dell'adozione e della permanenza per
tanti secoli di questo modo di raccontare, e molto
probabilmente l'avrebbe trovato relativo ad uno
scadimento della dignità del personaggio e della
figura, diventata membro del racconto, dopo esser
stata generatrice del proprio destino. La stessa
differenza c'è tra l'eroe della tragedia greca, che
porta legata a sè con filo di necessità la sua vita, e
la collana di casi meravigliosi radunati intorno alla
vita di un santo, da cui la figura non esce caratte-
rizzata; sì che spesso il racconto corre riferito ad
altro nome.
Era incapacità a padroneggiare un avvenimento
e a vederne l'insieme, ed un ingenuo abbandono che
si meravigliava e si divertiva. Era elemento indi-
catore di un gusto artistico, non era ancora stile,
e si poteva prestare ad interpretazioni inesatte ed
equivoche.
Questa assenza di ricostruzione d'una scena, pre-
senta affinità con la continuità decorativa a cui
arrivavano qualche volta gli artisti bizantini (come
si vede a S. Apollinare Nuovo di Ravenna, nelle due
schiere di santi), nell'abbandono a fantasie orien-
tali di ritmo e di colore. I due fatti hanno davvero
un fondo comune, ed è l'indifferenza per la indivi-
duazione della figura, ed uno scarso potere di
sintesi intellettiva. Se credessimo invece di tro-
vare nella continuità un criterio di spiegazione
comune, in realtà daremmo alla parola due con-
tenuti differenti. Per l'arte decorativa orientale,
la continuità è proprio la radice della visione;
come sinonimo di decorazione essa vuole che os-
serviamo l'effetto della ripetizione successiva di
uguali elementi, stesi su un piano. Ha il senso del
fregio.