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Atti della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino — 7.1897

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Rondolino, Ferdinando: Le chiuse longobardiche fra Ivrea e Vercelli
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https://doi.org/10.11588/diglit.11589#0257

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LE CHIUSE LONGOBARDICHE

FRA

IVREA E VERCELLI

È noto che i Romani solevano fortificare i confini d'Italia
abbarrando i valichi alpini con opere murarie che Plinio
e Strabone designarono col nome di Portae le quali sotto
gli imperatori Adriano (i), Teodosio II e Valentiniano III (2)
erano dette clatisurae. Tali opere durarono sotto Odoacre
e Teodorico, poiché Sant'Ennodio vescovo di Pavia, inviato
con Vittore vescovo di Torino nel marzo del 494 a riscat-
tare i subalpini che erano stati condotti schiavi nella Bor-
gogna, raccontava aver portato egli stesso il decreto di
liberazione ai clusari delle Alpi; e re Teodorico teneva
sessanta soldati nelle clausurae di Val d'Aosta (3) e fra il
507 ed il 511 mandava ordini agli ufficiali preposti ai porti
ed alle clausurae (4). Anche i Longobardi conservarono tali
difese, poiché re Ratchis mandava nel 746 ai giudici o
duchi del regno vegliassero direttamente e per mezzo dei
clusarii acciò gli stranieri ed i pellegrini non varcassero le
chiuse del reame senza presentare la tessera sigillata dal
duca e rilasciata loro dal duca stesso o dal clusario (5) ;

(1) Dionisio Gotofredo in Cod. Justin, de offic. praef. praet. afr.,
lib. 2, § 4, nota 17.

(2) Lib. 8, 4, Cod. de offic. magist. offic, lib. 4, C. de offic. milit.
judic.

(3) Cassiodoro, Variarum, lib. Ili, lett. 6a.

(4) Cassiodoro, cfr. lib. II, lett. i9a.

(5) Mon. Germ. Hist., Legum, IV, pag. 192.
 
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