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Bullettino di archeologia cristiana — 3.1865

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Nr. 1 (Gennaro 1865)
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Delle statue pagane in Roma sotto gli imperatori cristiani
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https://doi.org/10.11588/diglit.17352#0014

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— 6 —

quae Romae ... « Gratiano verac fidei ratione sunt
sublata; e che ante plurimo» arino» templorum jura
sunt loto orbe sublata. Colle quali parole allude alle
leggi predelle, che in Roma però non erano state «se-
guite; e la cui osservanza nella metropoli dell'impero
fu da Graziano solo in parte ordinata. Laonde prima
del 384 le statue delle pagane divinità in Roma furono
non solo illese, ma generalmente lasciate nei loro templi e
dinanzi alle loro are; e non mi sembra probabile, che
la scena dipinta nei scarabocchi da me divulgati spetti a
questo periodo di anni. Vero è che le leggi di Costante
e forse anche di Costanzo ebbero momentaneamente
qualche effetto; ma quei principi proibirono i sacriliciie
in pari tempo decretarono la conservazione dei templi di
Roma anche estramurani (1). La distinzione tra il culto
superstizioso degli idoli e la cura di conservare i monu-
menti pubblici e le opere dei grandi artefici ad orna-
mento delle città fu, come vedremo, il principio adottato
nella legislazione imperiale cristiana diretta ad abo-
lire l'idolatria.

Le ripetute istanze dei senatori pagani per la re-
stituzione dell'ara della Vittoria e delle rendite dei
templi, de' sacerdozii, delle Vestali andarono sempre
a vuoto. Ma nel 391 Valcntiniano fu ucciso per opera
di Arbogaste suo generale pagano; e la fazione ido-
latrica del romano senato trionfò di quella morte, e
sperò il ritorno de' tempi di Giuliano l'apostata. Pur
nondimeno tanta era la forza del cristianesimo, tanta
la pubblica avversione all'idolatria, che nò Arbogaste
ardì dare la porpora imperiale ad un pagano , nè
l'Augusto da lui creato, il grammatico Eugenio, ardi
concedere tosto ai suoi fautori ciò che Graziano e
Valcntiniano loro avevano costantemente negato. Anzi
da principio persistè anch'cgli nel rifiuto ; e sover-
chiato dalla necessità di gratificare la sua fazione
s'appigliò ad un partito di mezzo, le pingui rendite
confiscato da Graziano non restituendo al eulta idola-
trico , ma donando ai più illustri senatori di parte
pagana. S. Ambrogio protestò contro la debolezza di
Eugenio; ed i pagani vieppiù, accesi ed irritati, non
paghi del successo ottenuto, inalberarono nell'esercito
imperiale le insegne idolatriche, ed insolentirono fino
a minacciare e predire sicura la prossima rovina del
cristianesimo (2). Sconfitto Eugenio con Arbogaste e
con i fautori pagani per le armi del cristianissimo
Teodosio, avvenne naturalmente una reazione violenta
contro i vinti ed il loro partito. Nel 1849 fu rinve-
nuta nel foro Trajano la base della statua di Nicomaco
Flaviano capo della fazione eugeniana nel senato ro-
mano e fanatico nemico dei Cristiani; ed il lungo
decreto di restituzione di quella statua inciso nel
marmo ci insegnò, ch'essa era stata violentemente at-
terrata , e trovammo in esso un nuovo documento
della moderazione somma degli Augusti cristiani nel

(1) V. Cod. Theod. XVII, IO, 3, e il mio discorso siigli atti degli
Arvali negli Ann. dell' Ist. di corrisp. ardi. 1858 |>. Si-"!).

(2) Vedi la mia diss. sopra Nicomaco Flaviano, Ann. dell'l'I. 1819
p. 351c segg.

nel loro trionfo. Ma quanta fu la moderazione dei
principi verso le persone dei ribelli , altrettanto fu
inesorabile il loro zelo contro la radice della ribel-
lione, ch'era stata l'idolatria. Allora fu questa in
Roma definitivamente vietata e proscritta. A questo
tempo ed a questo trionfo politico e religioso degli
Augusti cristiani stimo alludere la scena, di clic ra-
giono ; la (piale è infatti dipinta a fresco sopra un in-
tonaco, la cui cattiva pasta è propriamente simile agli
intonachi degli arcosolii e dei cubicoli spettanti alla fine
del secolo quarto. Sarebbe troppo lungo il riferire per
minuto quanto dagli scrittori e dai monumenti si può
raccogliere intorno a quest' ultimo e decisivo trionfo
del cristianesimo. Dirò soltanto ciò che richiede il mio
tèma; (piale cioè fu allora la sorte toccata in Roma
alle statue delle pagane divinità.

Prudenzio nel libro primo contro Simmaco induce
un trionfatore cristiano, che paria in Roma al senato
contro i riti idolatrici, e la sua perorazione chiude
con questi versi:

0 proceres, ticeat staluas consistere pura»
Artificum mannorum opera: haec pulcherrima nostrae
Ornamenta emani patriae, nec decolor itsus
In vitium vénde monimenta coinquinet artis (1).

Queste parole da molti, fra i quali il Fea, sono state
attribuite a Costantino: ma veramente Prudenzio le
pone in bocca a Teodosio trionfatore d'Eugenio e della
pagana fazione (2). Teodosio adunque volle, come nelle
sue leggi già prima aveva sancito, che le statue ado-
rate superstiziosamente cessassero d'essere oggetto di
culto idolatrico, e così purificate divenissero nobili e
degni ornamenti della patria (3). Che se qualche legge
posteriore sembra discorde da questo principio, essa
riguarda non Roma, ma l'Africa; nè tutte le imma-
gini idolatriche, ma quelle che prive di merito d'arte
avessero servito soltanto a perpetuare la superstizio-
ne (4). E ciò che è più notabile, la massima che i si-
mulacri delle pagane divinità dovessero essere serbati
intatti all'ornato pubblico come monumenti dell'arte an-
tica, non fu un saggio temperamento voluto dai principi
e disapprovato in Roma dalla pietà dai fedeli. Prudenzio,
il cantore de'martiriede'loro trionfi, teologo e moralista
severo, non dubitò di porre in bocca al medesimo s. Lo-
renzo, quando per la fede di Cristo esalava l'anima
sulla Graticola ardente, la profezia, che i simulacri di
marmo e di bronzo sarebbero un dì innocui ornamenti
della sua Roma:

Video fulurum principem
Quandor/ue, qui servus Dei
Tetris sacrorum sordibus
Servire Romani non sinat*

tjk) In Symmach. I v. 502.

(2) V. Prudenlii, Carmina ed. Hobbarii Tubingae 1845 p. lóf.

(3) V. Muller, De genio et maribus saeculi Theod. T. Il p. Ifl9 e segg.

(4) Cod. Theod. XVI, 10, 18-20. -
 
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