77 - IL DOGE GRIMANI DAVANTI ALLA FEDE (1555
incompiuto).
Il 22 marzo 1555 il Consiglio dei Dieci, certo a sollecitazione della
famiglia Grimani, stabiliva che « essendo conveniente che verso la
« felice memoria del quondam Serenissimo Principe nostro Domino
« Antonio Grimani sia servato quello che è stato fatto nelli altri Sere-
« nissimi Principi nostri» fosse dato « cargo a Maestro Tician di
« dipinger il quadro di sua Serenità siccome è stato fatto di quello
« degli altri ». Il Doge Antonio Grimani era morto già da trentadue
anni. Nel 1499 aveva subita, come generale da mar, dai Turchi
una terribile sconfitta, ed era stato processato, condannato, bandito,
e solo lentamente per merito delle sue ricchezze e per quelle dei
figliuoli cardinali, era ritornato in favore, e solo vecchissimo nel 1521
aveva ottenuto il dogado. Tiziano doveva dipingere un grande quadro
votivo sul tipo di quelli dedicati ai Dogi Gritti, Landò, Trevisan,
tutti distrutti dall'incendio del 1577; e doveva essergli stato ordi-
nato di figurare il Doge, in ginocchio e davanti alla gran croce della
Fede tutto armato come era nella battaglia (e perciò appunto non tiene
in capo il berretto con la corona dogale, portatogli accanto dal paggio)
a rivendicazione della sua memoria anclie di guerriero. Incominciata
la pittura, Tiziano riceveva il 29 luglio dello stesso 1555, cinquanta
ducati, come primo pagamento. Poi per lunghi anni la grande tela
restò, come tante altre, incompiuta nel suo studio. Nel 1566, visi-
tandolo, il Vasari vi annota infatti (VII, 457), «un quadro che fu
cominciato per il Doge Grimani, padre del patriarca d'Aquileia ».
Probabilmente lo fece finire e mettere nella Sala delle quattro porte,
davanti alla Sala dei Pregadi, il Doge Marino Grimani, quando
completò la decorazione pittorica di quella grande sala.
Tela: a. 3.67, I. 4.95.
Dal Palazzo Ducale, Venezia.
— 157 —
incompiuto).
Il 22 marzo 1555 il Consiglio dei Dieci, certo a sollecitazione della
famiglia Grimani, stabiliva che « essendo conveniente che verso la
« felice memoria del quondam Serenissimo Principe nostro Domino
« Antonio Grimani sia servato quello che è stato fatto nelli altri Sere-
« nissimi Principi nostri» fosse dato « cargo a Maestro Tician di
« dipinger il quadro di sua Serenità siccome è stato fatto di quello
« degli altri ». Il Doge Antonio Grimani era morto già da trentadue
anni. Nel 1499 aveva subita, come generale da mar, dai Turchi
una terribile sconfitta, ed era stato processato, condannato, bandito,
e solo lentamente per merito delle sue ricchezze e per quelle dei
figliuoli cardinali, era ritornato in favore, e solo vecchissimo nel 1521
aveva ottenuto il dogado. Tiziano doveva dipingere un grande quadro
votivo sul tipo di quelli dedicati ai Dogi Gritti, Landò, Trevisan,
tutti distrutti dall'incendio del 1577; e doveva essergli stato ordi-
nato di figurare il Doge, in ginocchio e davanti alla gran croce della
Fede tutto armato come era nella battaglia (e perciò appunto non tiene
in capo il berretto con la corona dogale, portatogli accanto dal paggio)
a rivendicazione della sua memoria anclie di guerriero. Incominciata
la pittura, Tiziano riceveva il 29 luglio dello stesso 1555, cinquanta
ducati, come primo pagamento. Poi per lunghi anni la grande tela
restò, come tante altre, incompiuta nel suo studio. Nel 1566, visi-
tandolo, il Vasari vi annota infatti (VII, 457), «un quadro che fu
cominciato per il Doge Grimani, padre del patriarca d'Aquileia ».
Probabilmente lo fece finire e mettere nella Sala delle quattro porte,
davanti alla Sala dei Pregadi, il Doge Marino Grimani, quando
completò la decorazione pittorica di quella grande sala.
Tela: a. 3.67, I. 4.95.
Dal Palazzo Ducale, Venezia.
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