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Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma — 50.1922

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https://doi.org/10.11588/diglit.14892#0239

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Note Monografiche

235

l'offerta avrebbe subito così nello sviluppo della liturgia degli Ar-
vali come in quella del sacrificio cristiano.

Nei capitoli successivi, prese le mosse da una classificazione
dei giuochi in giuochi della danza e in giuochi agonistici, e dalla di-
visione di ognuna di queste due categorie in due ulteriori sottospe-
cie, a seconda che gli attori dei ludi incarnino esseri divini o restino
uomini, ilPiganiol, con largo corredo di comparazioni archeologiche
ed etnologiche, volge lo sguardo alle danze dei Luperci, degli Ar-
vali e dei Salii; affronta a tale proposito — in considerazione della
tendenza generale delle danze sacre a svilupparsi in spettacolo
drammatico — il problema delle origini del teatro latino, metten-
done in luce gli stimoli originari e le tante interferenze straniere,
che ne alterarono e complicarono l'evoluzione : analizza il concetto
religioso della Vittoria, con cui si riconnettono i giuochi a tipo
agonistico, approfondisce lo studio dei miniera, che, esigendo
normalmente versamento di sangue, partecipano della natura del
sacrifìcio, e dei sacrifici umani sono una sopravvivenza; e, final
mente, fatto emergere esaurientemente il carattere religioso dei
giuochi, si accinge a rispondere al problema, che egli ha messo al
centro della sua indagine scientifica: « Per quale via si esercita
l'efficacia religiosa dei ludi? ». Considerando che i giuochi si cele-
bravano specialmente in onore di divinità infornali ed agrarie e che
le occasioni in cui si celebravano (anniversari di dèi, di morti, di
vivi, di vittorie, di città etc.) rivelano l'intento di assicurare per
mezzo di essi la conservazione di una forza declinante o minacciata,
legata alla vita o alla sopravvivenza di un uomo, di un gruppo p
della natura, il nostro scrittore respinge la spiegazone oggi preva-
lente tra gli antropologi, che i giuochi mirassero a dilettare dèi e
defunti, e propende invece, senza esitazione, a vedere in essi un me-
todo e una tecnica di natura magica, per la quale si tendesse,

0 col mezzo dell'incarnazione della divinità negli attori o con quello
di gesti mimici, a infondere novella giovinezza nei morti, negli dèi
nei viventi, nel mondo tutto.

E così si chiude questa seconda parte del libro, il giudizio defi-
nitivo sulla quale sembra opportuno rinviare sino alla pubblica-
zione di quell'opera sistematica che, come abbiamo già detto, il
Piganiol ci promette e noi attendiamo con sicura fiducia, dappoiché

1 modesti dubbi, che qua e là ci siamo permessi affacciare in questo
 
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