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1739 in seno alla Società Colombaria un esemplare della pianta
nell'edizione del De' Rossi, che aveva ricevuto da Roma, dice solo
di reputarla opera di un monaco olivetano, « essendovi il medesimo
espresso dalla parte di Monte Oliveto col strumento di misurare in
mano e col nome, etc. cancellato nel medesimo rame ».
Eppure noi sappiamo in quale alta considerazione fosse rite-
nuto ai suoi tempi il Buonsignori, che il Granduca Francesco I elesse
a suo cosmografo al posto tenuto già alla corte del padre suo dal
celebre domenicano P. Ignazio Danti, commettendogli l'incarico
di compiere il disegno delle tavole geografiche, di cui questi aveva
già ornato gli armadi della sala del guardaroba di Palazzo Vecchio
e al quale anche Ferdinando I, conservandogli l'ufficio tenuto già
presso il fratello, affidava il compito di disegnare le monumentali
carte della Toscana che decorano la camera delle matematiche della
Galleria degli Ufizi, restituite alcuni anni addietro, per le provvide
cure di Corrado Ricci, all'ammirazione degli studiosi (i).
Nel disegno di queste carte, che valsero a ritrarre la nostra
regione con una fedeltà di gran lunga superiore a quella che si
riscontra nella celebre carta del Bellarmato, e cosi pure nella co-
struzione della pianta di Firenze, il Buonsignori mostra di aver
compiuto opera originale; di aver cioè egli stesso, con osserva-
zioni e misure direttamente praticate sul terreno, ricavato la topo-
grafia della nostra città e della nostra regione. Nella storia della
cartografia italiana ed in quella particolare della topografìa cittadina,
spetta all'umile monaco olivetano un posto eminente, e ben meri-
tava che il suo nome e il ricordo delle sue opere fossero tratti da
quell'oblìo cui parevano condannati.
La pianta del Buonsignori può dirsi abbia inspirato tutti i car-
tografi italiani e stranieri che nel secolo XVII e per buona parte
del XVIII intesero a ritrarre l'aspetto della nostra città. Ricordiamo
fra le altre la pianta che di Firenze, come di varie altre città italiane,
pubblicò sui primi del '600 il senese Matteo Fiorimi e quelle che ri-
trassero per le loro monumentali raccolte, pubblicate nella seconda
metà di detto secolo, i fiamminghi Federico De Witt e Wenzel Hol-
lar (2). Sempre inspirata alla carta del Buonsignori o forse a quella ri-
(1) Mori Attilio, Le carte della Toscana di Don Stefano Buonsignori.
« La Bibliofilia diretta da Leo S. Olschki ». Vol. IX, p. 281.
(2) Molte carte dell' Hollar furono raccolte in volume se non da lui stesso,
dall'editore Giovanni Jansson di Amsterdam nel 1657. (Vedi le aggiunte in
« Appendice » al presente volume). Il De Witt si valse pure più tardi della
fecondissima operosità cartografica dell' Hollar.
1739 in seno alla Società Colombaria un esemplare della pianta
nell'edizione del De' Rossi, che aveva ricevuto da Roma, dice solo
di reputarla opera di un monaco olivetano, « essendovi il medesimo
espresso dalla parte di Monte Oliveto col strumento di misurare in
mano e col nome, etc. cancellato nel medesimo rame ».
Eppure noi sappiamo in quale alta considerazione fosse rite-
nuto ai suoi tempi il Buonsignori, che il Granduca Francesco I elesse
a suo cosmografo al posto tenuto già alla corte del padre suo dal
celebre domenicano P. Ignazio Danti, commettendogli l'incarico
di compiere il disegno delle tavole geografiche, di cui questi aveva
già ornato gli armadi della sala del guardaroba di Palazzo Vecchio
e al quale anche Ferdinando I, conservandogli l'ufficio tenuto già
presso il fratello, affidava il compito di disegnare le monumentali
carte della Toscana che decorano la camera delle matematiche della
Galleria degli Ufizi, restituite alcuni anni addietro, per le provvide
cure di Corrado Ricci, all'ammirazione degli studiosi (i).
Nel disegno di queste carte, che valsero a ritrarre la nostra
regione con una fedeltà di gran lunga superiore a quella che si
riscontra nella celebre carta del Bellarmato, e cosi pure nella co-
struzione della pianta di Firenze, il Buonsignori mostra di aver
compiuto opera originale; di aver cioè egli stesso, con osserva-
zioni e misure direttamente praticate sul terreno, ricavato la topo-
grafia della nostra città e della nostra regione. Nella storia della
cartografia italiana ed in quella particolare della topografìa cittadina,
spetta all'umile monaco olivetano un posto eminente, e ben meri-
tava che il suo nome e il ricordo delle sue opere fossero tratti da
quell'oblìo cui parevano condannati.
La pianta del Buonsignori può dirsi abbia inspirato tutti i car-
tografi italiani e stranieri che nel secolo XVII e per buona parte
del XVIII intesero a ritrarre l'aspetto della nostra città. Ricordiamo
fra le altre la pianta che di Firenze, come di varie altre città italiane,
pubblicò sui primi del '600 il senese Matteo Fiorimi e quelle che ri-
trassero per le loro monumentali raccolte, pubblicate nella seconda
metà di detto secolo, i fiamminghi Federico De Witt e Wenzel Hol-
lar (2). Sempre inspirata alla carta del Buonsignori o forse a quella ri-
(1) Mori Attilio, Le carte della Toscana di Don Stefano Buonsignori.
« La Bibliofilia diretta da Leo S. Olschki ». Vol. IX, p. 281.
(2) Molte carte dell' Hollar furono raccolte in volume se non da lui stesso,
dall'editore Giovanni Jansson di Amsterdam nel 1657. (Vedi le aggiunte in
« Appendice » al presente volume). Il De Witt si valse pure più tardi della
fecondissima operosità cartografica dell' Hollar.