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4 AMORE E PSICHE
derare la sproporzione che esiste tra i sogni
della niente e la realtà della vita. Per la qual
cosa, molti, insino dall’antichità, cercarono un
amaro conforto in quella filosofia che noi oggi
chiameremmo del pessimismo, ed imprecando con-
tro gli Dei, la cui gelosia essi credettero essere
il solo ostacolo alla compiuta felicità terrena,
decantarono la morte come l’unico bene che di
tante stupende larve loro avanzasse.
Si fatto malinconico sentimento, che a noi
accade ritrovare in molti autori si greci e si la-
tini, ebbe la sua più ampia manifestazione in
quel noto verso di Menandro, il poeta comico,
il compagno e l’amico d’infanzia di Epicuro,
il quale esclamò che giovine muore colui che al
cielo è caro. Oggidì cotali disperate teorie hanno
avuto un’eco nel pensiero dello Schopenhauer e
dell’Hartmann, e similmente negli scritti di Gia-
como Leopardi, cui una sventurata esistenza con-
dusse ad abbracciare sdegnosamente la lamente-
vole dottrina della infinita vanità del tutto.
Ma non perciò dovremo noi conchiudere che
tra gli antichi parimente non vi fossero animi
di più eletto sentire, i quali, ricusando le aspre
consolazioni di una tale filosofia, non vagheg-
giassero il compimento della sognata felicità in
una seconda vita. 11 che ne viene attestato non
pur da parecchi passi di autori e da molte epi-
grafi, che la mestizia dell’addio supremo tempe-
rano con la speranza di una futura ed eterna
 
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