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Dante; Wiese, Berthold [Hrsg.]
La Divina Commedia — [München], 1921

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https://doi.org/10.11588/diglit.36538#0017
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E come quei che,, con lena affannata
uscito fuor del pelago alla riva,,
si uolge all'acqua perigliosa e guata,,
Così l'animo mio^ che ancor fuggiva,,
si uolse indietro a rimirar lo passo
che non lasciò giammai persona viva.
Poi ch'ei posato un poco il corpo lasso,,
ripresi via per la piaggia diserta,,
sì che il piè fermo sempre era il più basso.
Ed ecco^ quasi al cominciar dell'erta,,
una lonza leggiera e presta motto,,
che di pel maculato era coperta.
E non mi si partia d innanzi al volto;
anzi impediva tanto il mio cammino^
ch'io fui per ritornar più volte volto.
Tempo era dal principio del mattino,,
e il sol montava in su con quelle stelle
ch'eran con lui,, quando l'Amor divino
Mosse da prima quelle cose belle;
sì ch'a bene sperar m era cagione
di quella fera alla gaietta pelle
L'ora del tempo e la dolce stagione:
ma non sì,, che paura non mi desse
la vista,, che mi apparve,, d'un leone;
Questi parea che contra me venesse
con la test'alta e con rabbiosa fame,,
sì che parea che l'aer ne temesse,,
E d una lupa,, che di tutte brame
sembiava carca nella sua magrezza,,
e molte genti fe'già viver grame.
Questa mi porse tanto di gravezza
con la paura che uscia di sua vista,,
ch'io perdei la speranza dell'altezza.

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