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Dante; Wiese, Berthold [Hrsg.]
La Divina Commedia — [München], 1921

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https://doi.org/10.11588/diglit.36538#0050
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Canto nono.

UEL COLOR CHE VILTÀ DI
H H pinse^ / veggendo il duca
% # mio tornare involta^/più tosto
^ ^ dentro il suo nuouo ristrinse.
Attento si fermò com'uom che ascolta;
che hocchio noi potea menare a lunga
per l'aer nero e per la nebbia folta.
«Pure a noi converrà vincer la punga,,
cominciò er, se non... tal ne s'offerse !
Oh quanto tarda a me ch'altri qui giunga! »
Io vidi ben sì corn ei ricoperse
Io cominciar con l'altro che poi venne,,
che fur parole alle prime diverse.
Ma nondimen paura il suo dir dienne,,
perch'io traeva la parola tronca
forse a peggior sentenza che non tenne.
«In questo fondo della trista conca
discende mai alcun del primo grado^
che sol per pena ha la speranza cioncai»
Questa question fec io; e quei:«Di rado
incontra,, mi rispose,, che di nui
faccia il cammino alcun per quale io vado.
Ver è ch'altra fiata quaggiù fui
congiurato da quella Eriton cruda^
che richiamava I'ombre a'corpi sui.
Di poco era di me la carne nuda,,
ch'ella mi fece entrar dentro a quel muro,,
per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
Quell è il più basso loco e il più oscuro,,
e il più lontan dal eie! che tutto gira:
ben so il cammin; però ti fa sicuro.

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