I Poemi Conviviali del Pascoli possono a primo aspetto parer
l’opera di un ingegnoso e dotto umanista, persuaso a comporli
dal grande amore con cui ha studiato l’arte e il pensiero della
Grecia antica e più, forse, dalla facilità con cui gli vien fatto di
riprodurne le forme. In grazia di questa sua straordinaria virtù
fantastica sembra ch’egli goda di prenderci e aggirarci a suo
piacere, per buoni tre quarti del libro, in quel mondo, di cui cono-
sceva ogni segreto. Non c’è bisogno di andar a cercare alla fine
del volume le notazioni delle fonti, da cui dichiara di aver derivata
la sua ispirazione, per capire che uno de’ suoi gusti più grandi do-
vette consistere nel trattenersi a conversare con Omero e Saffo,
Esiodo e Platone, i tragici e i lirici, con Socrate, Achille e Ulisse.
Basta aprirlo a caso e leggere. Vi troviamo persino un poema in
cui tenta di ritrarre il momento spirituale in cui nacquero alcune
delle più famose sculture greche; ma ciò che per certuni apparisce
ancora più mirabile si è che quegli antichi paiono risorti a cantare
operare e parlare, conservandosi immutati. Di diverso si direbbe
ci fosse soltanto la lingua; tanto che un intenditore di poesia che
era pure un grande poeta, dopo averne letti uno o due di quelli
pubblicati sparsamente nelle nostre riviste, come per riassumere
in una frase il suo giudizio, so che ebbe ad esclamare: «Vera-
mente, non se ne sentiva bisogno: avevamo Omero! » Non si av-
vide forse di farne la lode più alta.
È evidente infatti che anche i Poemi Conviviali hanno la loro
inconfondibile impronta pascoliana, sono dello stesso poeta che
scrisse Myricae, I canti di Castelvecchio, i Poemetti; e, dato non
ne portassero il nome, li riconosceremmo per suoi, a colpo sicuro,
alla lingua, all’accento, al verso, ma sopr’a tutto allo spirito di
cui sono imbevuti. Come in ognuna delle sue opere, anche in essi
il Pascoli ci è sempre presente con l’aria triste e dolce del suo
volto, con la sua anima piagata e purificata dal dolore, con l’ane-
lito a risolvere i problemi che lo affannano. Egli canta non per far
mostra della sua bravura, bensì per confortarsi. E poiché a ciò
poche cose gli sembrano più adatte che rituffarsi nel passato, cede
24 - Italia e Grecia.
l’opera di un ingegnoso e dotto umanista, persuaso a comporli
dal grande amore con cui ha studiato l’arte e il pensiero della
Grecia antica e più, forse, dalla facilità con cui gli vien fatto di
riprodurne le forme. In grazia di questa sua straordinaria virtù
fantastica sembra ch’egli goda di prenderci e aggirarci a suo
piacere, per buoni tre quarti del libro, in quel mondo, di cui cono-
sceva ogni segreto. Non c’è bisogno di andar a cercare alla fine
del volume le notazioni delle fonti, da cui dichiara di aver derivata
la sua ispirazione, per capire che uno de’ suoi gusti più grandi do-
vette consistere nel trattenersi a conversare con Omero e Saffo,
Esiodo e Platone, i tragici e i lirici, con Socrate, Achille e Ulisse.
Basta aprirlo a caso e leggere. Vi troviamo persino un poema in
cui tenta di ritrarre il momento spirituale in cui nacquero alcune
delle più famose sculture greche; ma ciò che per certuni apparisce
ancora più mirabile si è che quegli antichi paiono risorti a cantare
operare e parlare, conservandosi immutati. Di diverso si direbbe
ci fosse soltanto la lingua; tanto che un intenditore di poesia che
era pure un grande poeta, dopo averne letti uno o due di quelli
pubblicati sparsamente nelle nostre riviste, come per riassumere
in una frase il suo giudizio, so che ebbe ad esclamare: «Vera-
mente, non se ne sentiva bisogno: avevamo Omero! » Non si av-
vide forse di farne la lode più alta.
È evidente infatti che anche i Poemi Conviviali hanno la loro
inconfondibile impronta pascoliana, sono dello stesso poeta che
scrisse Myricae, I canti di Castelvecchio, i Poemetti; e, dato non
ne portassero il nome, li riconosceremmo per suoi, a colpo sicuro,
alla lingua, all’accento, al verso, ma sopr’a tutto allo spirito di
cui sono imbevuti. Come in ognuna delle sue opere, anche in essi
il Pascoli ci è sempre presente con l’aria triste e dolce del suo
volto, con la sua anima piagata e purificata dal dolore, con l’ane-
lito a risolvere i problemi che lo affannano. Egli canta non per far
mostra della sua bravura, bensì per confortarsi. E poiché a ciò
poche cose gli sembrano più adatte che rituffarsi nel passato, cede
24 - Italia e Grecia.