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Bodrero, Emilio; Ducati, Pericle; Istituto Nazionale per le Relazioni Culturali con l'Estero <Rom> [Hrsg.]
Italia e Grecia: saggi su le due civiltà e i loro rapporti attraverso i secoli — Firenze, 1939

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https://doi.org/10.11588/diglit.42576#0414

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LUIGI PIETROBONO

tera, che per consiglio di Calypso s’era fabbricata con le sue
mani.
Siamo a uno dei momenti più eroici dell’ Odissea. Per dicias-
sette notti egli, solo, senza chiudere mai gli occhi al sonno, naviga
verso l’isola dei Feaci. Al diciottesimo, quando ne scorge di lon-
tano l’ombra in forma di scudo, Nettuno, di ritorno dall’Etiopia,
lo vede, lo riconosce; e, sentendosi ribollire nel petto il vecchio
rancore, afferra il tridente, raduna le nubi, scatena i venti. La
descrizione della tempesta tutti sanno che forma una delle pagine
più grandiose del poema omerico. Il Pascoli, con la fantasia ac-
cesa dal canto dell’antico aedo, ritenta il dramma, riuscendo a
far maggiormente grandeggiare il suo eroe in una narrazione più
ordinata e più densa. Nell’uno la tempesta infuria d’un tratto;
nell’altro in uno spaventevole crescendo, passiamo dai primi segni
forieri del fortunale al crocchiar della zattera sotto i colpi delle
onde, allo sventarsi della vela, allo schianto della folgore, in cui
lampeggia sinistramente il riso feroce del dio, ai cavalloni che
fanno volar in alto le spume e all’uragano che
fumido di sghembo
sferzava lor le .groppe di serpente.
Con la visione nasce vivo e potente il sentimento della tem-
pesta. Vediamo, tremiamo e ammiriamo; non mai tanto però
quanto alla fine, allorché, l’uno di fronte all’altro ritroviamo il
dio e l’uomo, soli : quegli che ergendo su le ondate il torso largo
e scotendo il gran capo fa folgoreggiare il tridente fra i nembi;
questi che parla al suo cuore e continua a reggere, impavido, con
le mani il timone. Chi de’ due più grande? La domanda viene
spontanea; ma non crediamo che venga egualmente opportuna.
Alla grandezza dell’eroe è più che sufficiente l’aver osato affron-
tar la battaglia ingaggiatagli contro da un dio.
Dopo rivissuta una delle ore più grandi della sua vita, meno
che mai è possibile supporre che rimanga in Itaca a farsi rodere
le viscere dall’ignavia. Nove lunghissimi anni ha aspettato la
morte che doveva venire dal mare; al decimo, in cambio di essa,
vengono a destarlo definitivamente le rondini con i gridi che
fanno intorno e sotto l’umbratile atrio della casa. Si veste in
silenzio alla foggia di ogni giorno, perchè nessuno sospetti che
mulina qualcosa di nuovo, ed esce dalla stanza nuziale pian piano
per non destare la moglie;
ma lei teneva un sonno alto, divino,
molto soave, simile alla morte.
 
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