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VOCI DI ETRURIA

12 I

in cui fonda il porto siracusano, è oggetto dei suoi
guasti anche Populonia, se non il Poplonion akron, la
Poplonion polis di Tolomeo, cioè il porto.
Devastatrici violazioni riscontrò già Luigi Adria-
no Milani a porto Baratti e ne fece riferimento alla
spedizione siracusana del 384: scoprì egli una vasta
platea di tempio a grossi massi di arenaria con le
tracce del saccheggio e della distruzione. È la fine
della potenza, è l’inizio del graduale decadimento
della città etrusca, che sì spiccato rilievo aveva
raggiunto nelle vicende della Italia pre-romana. Ma
Populonia alla fine del sec. Ili conserva tuttora in
parte l’antica floridezza; essa è menzionata tra le
principali città etrusche, che fornirono all’armata di
P. Cornelio Scipione nel 205 a. C. un valido aiuto;
naturalmente Populonia fornì il ferro.
La rovina è già al tempo in cui rifulge l’astro di
Augusto; la città è ridotta ad una povera borgata;
così riferisce Strabone. Ma quando nel 416 d. C. Ru-
tilio Namaziano compone il poemetto sul suo viaggio
in Gallia, abbandonato è ormai il luogo, ove sì fer-
vida era stata un giorno la vita. Il tempo edace tutto
ha consunto, solo qua e là sono vestigia di mura, ruderi
di edilìzi. « Non sdegnamoci — dice Namaziano —
se si dissolvono i corpi mortali, chè con esempi scor-
giamo che anche le città possono morire ». È il
concetto che più volte s’incontra nella letteratura
latina: lo esprimono Cicerone, Ovidio, Seneca, Au-
 
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