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VOCI DI ETRURIA

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ventata la reggia dorata del piacere; tempi tristi,
in cui Genova esosa ed imbelle mercanteggiava un
popolo. Tempi in cui tuttavia si prova un senso di
sollievo nello scorgere balda ed invitta la fatidica
vigoria dei Savoia con lo sguardo fisso all’avvenire;
chè nella forte regione ai piedi delle Alpi è già
costituito il nucleo del futuro Stato italiano. Tempi
in cui tuttavia consola l’apparizione, in ogni plaga
del nostro Paese, di luminosi spiriti, di precursori
con uno scintillìo di pensiero, con una tenacia di
operosità, con un fervore di sentimenti. Nella co-
scienza di pochi eletti è già, per così dire, il lievito
di quanto nella maturità dei tempi diverrà la Na-
zione italiana. Ed a questo lievito appartiene la
Etruscheria derisa e spregiata.
Le condizioni in cui si trovava la scienza del-
l’antichità nel primo cinquantennio del settecento,
già per loro stesse giustificano gli eccessi, fanno
compatire le aberrazioni, fanno perdonare gli er-
rori; pensiamo che le ricerche scientifiche archeo-
logiche erano circoscritte, nè erano aiutate dalla
visione di un orizzonte più ampio, nè rese facili
dal confronto con altri monumenti dell’antichità
classica. Il sommo Winckelmann fu il primo a
rompere il cerchio magico e a far risplendere la sua
opera non più di precursore, ma d’innovatore;
eppure, come si è visto, nemmeno il Winckelmann
fu immune da quanto si rimproverava alla Etru-
scheria.
 
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