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Museo italiano di antichità classica — 1.1884/​85

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Vitelli, Girolamo: Spicilegio florentino, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.9011#0011

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SPICILEGIO FIORENTINO

Ad una r rudis indigestaque moles ' di notizie
e di appunti dai manoscritti fiorentini ho dato il
nome abbastanza ambizioso di 1 Spicilegio ', per-
chè non mi si è presentata alla mente una pa-
rola che indichi meglio il mio proposito e non
pecchi troppo per il vizio contrario all'ambizione.
Questa breve avvertenza basterà a scusarmi presso
coloro i quali, forse più spesso di quello che io de-
sideri augurarmi, troveranno che io abbia raccolto
paglia piuttosto che spighe! Pur troppo non ho
neppure a disposizione un tiqógwttov più o meno
rìjlavytq, che valga ad attirare benevoli almeno
i primi sguardi. Comincio in fatti da un oscuro
anonimo di poca o nessuna importanza; e quasi
per smentire in tutto e per tutto il titolo dato ai
miei appunti, li prendo questa volta (e mi riserbo
il diritto di farlo spesso in seguito) eia un codice
non fiorentino.

Nel IV volume dei suoi Anecdota Graeca pub-
blicò il Boissonade (p. 458 sq.) dal codice pari-
gino 2551 un frammento anepigrafo, a cui egli
dette il titolo: jcsqì Xvqixcòv. Riprodussero il fram-
mento Welcker nel Rhein. Mus. 1 (1833) p. 168 sq.,
M. Schmidt nei suoi Didymi Fragmenta p. 395 sq.
' ne quid omisisse videretur ' non perchè credesse
alla paternità di Didimo, e finalmente, con note-
voli emendazioni, A. Nauck nella Appendice al suo
Lexicon Vindobonense p. 321 sqq. Questo stesso
frammento trovai non ha guari in un codice Na-
poletano abbastanza noto (II, F, 9), che contiene
fra le altre cose alcune tragedie di Euripide con
scolii di buona qualità sulle Troadi, scolii che fece
conoscere il Cobet in Appendice alla edizione delle
Phoenissae del Geel (Leida, 1846) p. 301 sqq. cf. prae-

Museo italiano di antichità, classica.

fat. p. IX sq. Nell'ultimo foglio (237) del codice
si legge: mvdàQov \\\\\XvQixov yévog (rubr.): jtCvdaQog
xò fxtv yévog drjfiuìog vlov (sic) óaiyàvxov xxX. xà
óè iGDj.ua àyoòva (sic) dg xòv Ttodsidùiva ' xà Sè
snad-Xa xovxmv ód(pvrj aéXivov ^fjqov xe xal %?mqÓv
{= Vit. Pind. ap. Boeckh II p. 4-5, 3). Segue:
èvia àè oi XvqixoC ' dXxatog ' Ganqh) ' tìvrfityoqog '
T^vxog ' fiux%vXidrtg ' aifiavió^g ' dx/iàv (sic) ' draxqmv
xal TcCvóaQog (ib. p. 7): "V ntvòdqov òXvfiTiiovixai (sic)
Xvqixov (rubr.): -\. insidi] Xvqixóg idxiv 6 TcCvóaqog xal
xgòg XvQav aóorxai xà avxov noir^iaxa e ciò che se-
gue ap. Boeckh p. 11, 15 fino a p. 12, 5, dove
rettamente il Napoletano offre xal xfjg xftg yfjg dxivrj-
a'ag, ma erroneamente con gli altri codici xàg
dvxlGxQÓyovg xal xàg irtoiSàg {sTtojdovg C01T. Schae-
fer). Continua con dXXà ttqwxov tcsqI noóàv qrjxéov,
e dopo un verso e mezzo di spazio bianco (marg.
$ cioè £rjT£i) si legge il frammento, anche qui
senza lemma come nel codice Parigino, ovxw óè
nqoarjyoQsv^aav-s^sQvaaxo. Guardai il codice molto
in fretta, ma posso ora esattamente comunicarne
le discrepanze per la cortesia di Francesco d'Ovi-
dio, cui r non me devinctior alter '. Cito le va-
rianti col numero delle pagine e delle linee della
edizione del Nauck.

p. 321, 3 óslxavxrjg N(apoletano). Ingannato dall'er-
rore óeìxavxa delP(arigino), il Nauck aveva
ingegnosamente congetturato <<}óal xà.
„ 6 drrò {xéXag xrjg N. Invece di xrjg Boisso-
nade dà xov e dice che in P si legge xcòv:
Nauck aveva già corretto xrjg per con-
gettura.

p. 322, 6 %iov<ia NP.

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