Universitätsbibliothek HeidelbergUniversitätsbibliothek Heidelberg
Metadaten

Museo italiano di antichità classica — 1.1884/​85

DOI Artikel:
Setti, Giovanni: Il linguaggio dell'uso comune presso Aristofane
DOI Seite / Zitierlink: 
https://doi.org/10.11588/diglit.9011#0125

DWork-Logo
Überblick
loading ...
Faksimile
0.5
1 cm
facsimile
Vollansicht
OCR-Volltext
- 114 -

a subire la lingua attica presso i Greci. Lo stretto
legame di tradizioni e di cultura, che mantenne
unite per lungo tempo in Atene le varie classi di
quella società, ebbe diretta influenza sulla comu-
nanza della lingua. Già, nel massimo rigoglio della
letteratura ateniese, quando il dramma parla dalla
scena alle moltitudini accorse al teatro, questa
unità è ancor tanto salda, che non si può in istretto
senso parlare di lingua colta e volgare. Si pensi
alla commedia aristofanesca delle Rane, che è una
continua parodia delle tragedie euripidee, ed è fra"
gorosamente gustata ed applaudita da tutto il po-
polo. Le deviazioni vere si accentuano solo dipoi,
colla decadenza della nazionalità e cultura ellenica,
e si perpetuano fino nella tradizione del greco mo-
derno. Questo giustificherà anche la scarsa mèsse
di risultati che oggi noi offriamo ai lettori, di fronte
alle lunghe e faticose ricerche.

Ma, anche scarsi così, ci sembrano oltremodo
significativi ed interessanti. Sono, tra la sabbia,
briciole o molecole luccicanti, testimonianti la ric-
chezza di larghe vene o miniere metallifere, che
si smarrirono fatalmente negli abissi stratificati
del suolo. Quelle forme ed espressioni, per quanto
isolate o disperse, ci fanno sentire come un fre-
mito o tepore di vita antica: ci rivelano, genuini,
i caratteri peculiari di quel popolo ateniese, sì me-
raviglioso nelle sue attitudini ideali. In quel lin-
guaggio popolare, tutto metafore ed iperboli, ed
ellissi, ed iscorcii sintattici, e scongiuri, e modi
proverbiali si riflette la gaja mobilità della fanta-
sia, la vaporosa e calda sensualità del costume,,
la spavalderia arrogante o l'arguzia motteggia-
trice; la licenziosa sfrenatezza d'una fede che tra-
monta, d'una società che si dissolve.

Noi limitiamo le nostre ricerche alla commedia
di Aristofane. In essa noi abbiamo senza dubbio
la lingua elaborata dall'uso degli scrittori. Il poeta
comico è un artista anzitutto: e la sua opera è
il prodotto di una geniale intuizione dello spirito.
Come nelle parti corali egli ubbidisce a certe forme
metriche e ritmiche consacrate dall'uso, così nella
parabasi e nelle parti dialogiche esso è legato e
deve acconciarsi alle esigenze della prosodia e del
metro. S'aggiunga, che pochi poeti, come Aristo-
fane, hanno così fino e squisito il senso della purità
della lingua. Ecco qui degli ostacoli all'introduzione-
di quelle forme volgari che si volesse accogliere
nell'opera d'arte. Ma d'altra parte c'erano le im-
periose necessità di quel genere letterario, che dalla

vita reale doveva trarre non solo la materia, ma
il colore e la vivezza delle sue rappresentazioni,
rispecchiandone fedelmente ogni atteggiamento o
movenza, e animando le figure della vita piena e
possente che s'agitava intorno. La commedia parla
al popolo: e deve avere del popolo la rude ed evi-
dente efficacia del realismo. Così avviene, che no-
nostante i sovraccennati impedimenti di forma e
di concetto, sotto la tirannia dell'alte leggi della
poesia e dell'arte, vi sono scene aristofanesche,
in cui il linguaggio comune si svolge nella sua na-
turale vivacità: svelto, rapido, spezzato, espres-
sivo, concitato, vera azione. Là riscontriamo tratti
che sembrano presi addirittura dalla vita, senza
condizione di metro o di ritmica, tanto conservano
di vivacità e naturalezza.

La commedia aristofanesca si move appunto in
questo mondo basso e volgare del popolo. I suoi
personaggi sono per lo più gente della plebe: servi,
operai, contadini, rivenduglioli, messaggeri, impo-
stori, sicofanti, etere.... E se non vi mancano i
personaggi appartenenti a classi alte della società,
essi sono ridotti al livello di una bassezza vol-
gare. Il demagogo Cleone, il dio Dioniso, Euripide,
legulei, sacerdoti.... usano il linguaggio plateale
della suburra e del bordello. Quanta cura si dia
Aristofane di riprodurre fedelmente ogni tipo nella
sua realistica verità si può vedere da ciò, che bar-
bari e forestieri fa parlare nel gergo e dialetto che
loro è proprio. Donde questa mirabile varietà e
ricchezza di lingua aristofanesca, che conosce le
pure idealità della musa pindarica ed eschilea, ed
ha la vivace scioltezza del favellar familiare, e con-
serva le impudiche licenze dell'espressione oscena
accanto ai festivi balbettamenti dei fanciulli, in
mezzo ai suoni barbari dello scita e del beota, al
gracidio delle rane ed al gorgheggio degli uccelli.
C'è materia per tutti i lessicografi e scoliasti e com-
mentatori antichi, e per tutti i linguisti moderni.

Noi vi vogliamo soltanto indagare le tracce del
parlar quotidiano o volgare. Gli scoliasti notano
e accennano a queste anomalie od imitazioni dia-
lettali colle espressioni 6 xeopixòs (iifieltai..., o oi
yccQ.,.. sìcódcccri.... (scoi. Acarn. 403), Xtysrai yàq
TovroyC... (Vesp. scoi. 781); o colla più speciale:
Tjj rùv àyQsvràv légei %Qu>nsvoq, o colla più vaga
e indefinita: àztixoàg. Spiegano ed illustrano i bi-
sticci di parole (TcaQayQa^nara), i modi metaforici
e proverbiali {liaqoifiiai). I lessicografi ed i gram-
matici raccolgono gli idiotismi, i vocaboli rari, e
 
Annotationen