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Museo italiano di antichità classica — 1.1884/​85

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Setti, Giovanni: Il linguaggio dell'uso comune presso Aristofane
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https://doi.org/10.11588/diglit.9011#0128

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- 117 -

wg pr} svdvQrjfiovovvreg (sic) ). NellaLisistrata (v. 921.
926) Mirrina non trovando subito la parola per
indicare il coltrone (ifttedog) ed il guanciale (tvqo-
dxs(fàXaiov) dice:

xafroi rò óeìva xpiaOog edx' iJ-oiGtéa

e

xaitoi rò óeìva TtQOGxscfdXaiov ovx t%eig.

E altrove : Ucc. v. 648 :

draq rò óeìva àevQ ercavdxQovtìai ndkiv.

Lis. v. 1168:

rò dsìva xoivvv naodóoti' rjfiXv xovxovC.

Pac. v. 268:

..............rò Selva yào

anóXwXa.......

Bellissimo è l'esempio delle Tesmoforiazuse (v. 206-
622), ove Mnesiloco, travestito da donna, dovendo ri-
spondere a certe domande che lo mettono in grande
imbarazzo, per non tradirsi, non si perita a pro-
nunziare che questa parola insignificante, ripeten-
dola più volte, senza formulare alcuna chiara rispo-
sta: ond'è apostrofato da distene colle parole
XrjQeìv /.ioi óoxeìg e poi ovóèv Xéyeig.

Mnes. ròv èfiòv dvóqa nvvdàvei;

xòv óeìva yiyrojGxeig, xòv èx Kodwxióoiv ;

Clist. ròr óeìva; txoìov;

Mnes. sa8'ó óeì v, og xai Trote

xòv óeìva xòv xov Selva.

Ad una voce di significato così indeterminato è
facile l'annettere un senso osceno, quasi a velare
pudicamente coli'indeterminatezza della parola la
cosa sconcia che si vuol accennare. Così óeìva subì
questo deterioramento nella significazione, come
ci dimostrano gli esempì aristofaneschi: Acarn.
v. 1149. Lis. 879. E poiché voci popolari hanno
una sorte singolarissima nella storia delle lin-
gue, così vediamo trasmettersi l'uso di questo
óeìva attraverso i bassi tempi della grecità (scoi.
Pac. 268) sino al greco moderno, il quale l'ado-
pera come pronome indeterminato, e con variate
desinenze. Ha perduto la distinzione dei generi al
singolare (ò, fh rò dsìva), ma al plurale ot, ed,
óeìveg, r« óeìva ; inoltre ha ripreso le desinenze
della declinazione: óeìvog, óeìvi, ... óeìveg, óeìvm;
óeìrag. Forma del pari declinata fu in origine il
nome zdv, che l'uso ritenne invariabile nel caso
di vocativo singolare, adoperandolo a mo' di apo-

strofe con media significazione, cioè tanto in
buono che in cattivo senso; tanto rivolgendosi
ad una che a più persone. In Aristofane ricorre
soltanto nel 1° caso (Plut. v. 66. 377 ; Nub. 1267.
1432; Ran. 1243 ecc.), ma in Cratino (fr. 360)
l'apostrofe è rivolta a più persone, come si desu-
me dal contesto, ed è particolarità notata dallo
scoliasta (scoi. Plut. 66). Altro avanzo fossile di
declinazione è il vocativo néXe, comunissimo nel
linguaggio familiare: dapprima rivolto indistinta-
mente tanto a uomo che a donna, poscia ristret-
tone l'uso al primo caso. 'Sì fiele s'incontra ad
ogni passo nel dialogo aristofanesco (Cav. v. 671 ;
Nub. 33; Eccl. 120. 133. 245 ecc.) e per lo più in
senso buono : simile al nostro " o buon' omo „
" o figlio mio. „ Gli scoliasti lo chiamano ttqóg-
(ftìeyna àxxixóv, e sbagliano neh'attribuirgli sol-
tanto un cattivo significato, e dichiarandolo colle
voci sinonime w xdxiGre rj xaxodatfiort'arate n
oìxTQÓrare (Cav. scoi. 671). Come interiezioni od
avverbi sono usate le forme declinate aòv eoyov
(" orsù, a te „), rrjneqov (" questo giorno, oggi „) che
ricorrono frequentissime (Ucc. v. 862; Lis. 176.514).
E così dicasi del pronome dimostrativo ovrog, usato
col valore avverbiale di u eh ! eh ! tu „ per chiamar
persona cui si debba rivolgere la parola. Arist.
Vesp. v. 1 :

ovrog ti naticele........

cfr. Ucc. v. 49. 56. 225. 274; lian. 312; Plut, 926.
Degli altri comici: Cratin. fr. Sl.Ferecr. fr. 129.134.
Plat. fr. 188. Nicof. fr. 16. Talora anche ripetuto:
Tesm. v. 689:

a noi Gv yevyeic; ovrog ovtog ov fiéveig;

Notevole, e dagli scolii segnalato come strano, è
del pronome avxóg un superlativo avrórarog (Plut.
v. 83) ; a quel modo che noi da " stesso „ facem-
mo " stessissimo. „

È un bisogno vivamente sentito dalle lingue
parlate quello di designare con una evidente pre-
cisione gli oggetti che esse vogliono indicare. A
questo non sempre basta il pronome dimostrativo:
e bisogna affiggervi un segno di maggior deter-
minazione; a quel modo che noi ai dimostrativi
" questo, quello „ aggiungiamo gli avverbi " qui,
qua, lì, là. „ Il dialetto attico ricorse a quel suffisso
t che gli scoliasti ed i grammatici chiamano èm-
Seixxixóv o óeixxixóv. Esso si pone a tutte le desi-
nenze della declinazione, sieno singolari o plurali,
 
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