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Museo italiano di antichità classica — 1.1884/​85

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Setti, Giovanni: Il linguaggio dell'uso comune presso Aristofane
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https://doi.org/10.11588/diglit.9011#0129

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118 -

Amenti in vocale o in consonante. Importante è il
fatto dell'accento che esso ritrae sopra di sè, alte-
randolo o serbandolo acuto. I dimostrativi oós e
Toióaós perdono l'e della desinenza dinanzi al suf-
fisso: odi (Vesp. v. 539), i^CNub. v. 212), toiuòì ecc.
Negli altri dimostrativi le vocali stanno le une
accanto alle altre, senza elidersi: avxiji (Acarn.
v. 1055), óvtoU (Nub. v. 107), ixswovi (Pac. v. 1213),
roiovToiC (Lis. v. 1087). Solo vocali brevi si elidono.
Tovro e xavxa danno tovtì e xavxi (Nub. v. 1248;
Ucc. 801). In alcune forme si è tolto l'incon-
tro dei due suoni mediante l'inserzione di una
consonante. Così abbiamo Toinoyi (Vesp. v. 781),
xrjvdsói (Ucc. v. 17), tqSeòt (Ucc. v. 644); e que-
ste forme complesse (fa d'uopo notare) sono usate
promiscuamente accanto alle semplici. In Aristo-
fane è solo un caso proveniente dalla perdita della
maggior parte de' suoi drammi, se non riscontriamo
tutte le forme declinate di questi pronomi dimo-
strativi accompagnate dal suffisso. In Eupoli tro-
viamo ixsivrjC (fr. 277) e rrjdsdi (fr.. 344): in Alessi
-cornavi (fr. 2) e xoaovói (fr. 2), forme che non ri-
corrono in Aristofane. Questo uso entrò poi anche
nella lingua letteraria, e invalse lungamente, come
ce ne dà esempio sopratutto la prosa di Platone
e di Luciano, e come si può vedere nelle reliquie
dei comici posteriori e nelle opere della bassa gre-
cità. Né si suffiggono solo i pronomi dimostrativi,
ma anche congiunzioni ed avverbi, e colle stesse
modificazioni fonetiche. Nvv, ósvqo, wgtisq, ivravOa,

svtevOsv, àós____diventano vvvi o vvvfisvi (Eupol.

fr. 117; Ucc. v. 448), ósvqì (Tesm. v. 25), wgttsqsì
(Eupol. fr. 117; Aristof. fr. 266. 474. 495), èvcavSi
(Ran. v. 273) o ivystavOi (Tesm. v. 646), ivtsvOsvi
(Ucc. v. 817; Amipsia fr. 7) e adi.

Per quello che riguarda gli altri pronomi, e vo-
gliami dire i correlativi (e con essi gli avverbi
della stessa specie), dobbiamo notare, come già
nella lingua dell'uso comune si andasse oscurando
anche il sentimento della regolare e perfetta cor-
rispondenza, che in un sintattico addentellamento
univa fra di loro le forme interrogative, ripetute
o riprese nel dialogo. In Aristofane troviamo cer-
tamente casi ove la correlazione è osservata, come
Vesp. v. 1443:

ti Ttoislg;

— o ti, tcoiw;

Ran. v. 198:

ovTog ti, noisig;

— o ti nono;

Vesp. v. 48:

............nàg;

— oTtcóg;

Pac. v. 847:

nóOsv dì ... ;

— ònóOsv;

ma d'altra parte abbiamo:

Ran. v. 1424:

s%si óè tcsqì avTov tìvu yvcófinv;

— Tira;

Ucc. v. 1234:

............TToioig OeoTg;

— ttoìoiciv ;

Eccl. v. 761:

............màg;

— TTcòg; Qaóiwg.

Ma un fenomeno più importante è quello che
si verificò per riguardo al numerale stg, fiia, IV.
Come in latino lo stesso numerale " unus „ per-
dette a poco a poco nel sentimento della lingua il
suo valore di aggettivo cardinale e dette origine
all'articolo indeterminato delle lingue neolatine,
così esso subì per opera del linguaggio volgare la
stessa alterazione, e divenne l'articolo indeter-
minato del greco moderno. Caratteristici sono i
seguenti esempì aristofaneschi: stg xànslog (Ucc.
v. 1292); olxiauTs fiiav tcoXiv (id. v. 172); neqì yv-
vaixòg fiiàg (id. v. 1639), nei quali l'aggettivo nu-
merale non ha nè più nè meno che il valore e
l'ufficio di un siffatto articolo.

Come la declinazione, così anche la conjugazione
mantiene ancor salda l'organica unità delle sue
forme flessive, tanto che poche deviazioni si pos-
sono avvertire nella lingua parlata. Lo sdoppia-
mento delle forme mediante la perifrasi è fenomeno
assai posteriore che si rivela solo nelle lingue mo-
derne, derivate dalle antiche. Dapprima non si
effettuano che irrigidamenti o accorciamenti o
soluzioni di forme. Forme, come l'Bi, ytos, aye,
àvvaag____adoperate a mo' di avverbi o interie-
zioni, erano già da lungo tempo entrate nel dominio
dell'uso, ed avevano certo parte. grandissima nel
discorso familiare, come ce ne dà argomento ed
esempio il dialogo aristofanesco (cfr. Nub. v. 860.
218; Pac. 851, 969; Nub. 181). Forme, come noòfìa
(Acarn. v. 262), xaTccfìa (Ran. v. 35; Vesp. 979), /<£-
tàfia (Aless. fr. Ampli. 2) mostrano di per sè stesse
il loro carattere popolare (cfr. scoi. Ran. 35). Del
pari anomala, ma propria del dialetto usuale, era
 
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