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Museo italiano di antichità classica — 1.1884/​85

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Comparetti, Domenico: Iscrizione Cretese scoperta in Venezia
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https://doi.org/10.11588/diglit.9011#0153

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- 142 -

pedi la morte (1639); l'altro lo ebbe il Selden e
se ne servì nella sua opera De Synedriis, pubbli-
cata nel 1650, ') ma senza riferirne che la parte
relativa ai giuramenti. Finalmente, lo stesso esem-
plare che aveva appartenuto al Selden venne nelle
mani del Chishull, il quale riferì tutta intiera l'epi-
grafe nelle sue Antiquitates Asiaticae pubblicate a
Londra nel 1728 (pag. 133 sgg.). Egli però non
riferì tutta l'iscrizione esattamente nella forma
in cui trovavasi pubblicata nel foglio veneto ; ciò
fece solamente per tutta la parte relativa agli oqoi
e per alcune poche altre righe. La massima parte
dell'epigrafe egli diede in minuscole, ridotta se-
condo la sua lezione e le sue correzioni, delle quali
di rado si curò di render conto nelle poche note
che accompagnano quella pubblicazione. Così, del
marmo originale non essendosi avuta più notizia,
ed il foglio veneto essendo irreperibile, unico fon-
damento per la conoscenza di questa epigrafe im-
portante rimase fin qui il libro del Chishull, nè
altro fondamento ebbe il Boeckh nel pubblicarla
nel C. I. G. all' infuori eli quanto la sua critica, la
sua dottrina, e il confronto con altre epigrafi cretesi
di soggetto analogo potevano suggerirgli per cor-
rezioni e proposte congetturali. Il Torres y Ribera
nella sua opera sulle antichità cretesi, stampata
incompletamente e non mai pubblicata, della quale
uno dei rarissimi esemplari trovasi nella Marciana
di Venezia, dice che a sua istigazione furono fatte
le più diligenti ricerche in casa Molin per ritro-
vare questa epigrafe e riuscirono infruttuose; tal-
ché anch' egli a Venezia e assai prima del Boeckh
non ebbe altro fondamento per quella epigrafe che
il libro del Chishull.

Ora abbiamo il marmo dinanzi a noi; ma è pre-
cisamente quello stesso o un altro dei tre esem-
plari che, secondo il testo del trattato, dovettero
essere scolpiti in marmo e collocati in Olunte, in
Latos e in Knosos? Certamente la parte della ba-
silica ove fu trovata l'epigrafe è di molto più an-
tica del secolo XVII; nondimeno non sarebbe im-
possibile che il marmo fosse posto colà in ristami
fatti in quel secolo quando pure furono fatti e
collocati parecchi dei mosaici che adornano quella
facciata ; ma lascerò che di ciò giudichino uomini
meglio eli me informati della storia di quell'insi-
gne monumento. Se non che, il marmo stesso "che

') II, § 11, p. 466 sg., parla del foglio comò pubblicato-
circa un tront'anni prima. Il 2° volume è del 1653.

oggi ricomparo, confrontato col contenuto del foglio
veneto, quale almeno lo conosciamo dal Chishull,
dà luogo a dubitare che possa essere quel mede-
simo. Il Chishull oltre al trattato stesso riferiva
anche il principio eli un'aggiunta che di comune
accordo fecero a quel trattato le due città. Quest'ag-
giunta manca affatto nel nostro marmo. Par dif-
ficile pensare che si trovasse su di un marmo se-
parato; probabilmente si trovava su di un'altra
faccia della stessa stela. Nel marmo ora trovato
la faccia che contiene l'iscrizione è perfettamente
riquadrata ed è tutta, da cima a fondo, coperta
dal testo del trattato, nè alcuna aggiunta poteva
contenersi su quella faccia stessa; quanto alle
altre facce, quel che ne so dalle informazioni che
ho ricevute è " che non pare che su di esse esi-
stano segni di scrittura ; „ riman da sapere se da
quella parte il marmo fosse segato, scalpellato o
comunque lavorato. Ma la principale ragione di
dubitare dell' identità sta piuttosto in questo che
il foglio veneto si mostra mancante di numerosi
brani, parecchi dei quali pur si leggono assai chia-
ramente nel nostro marmo. Invero il procedere
di chi pubblicò quel foglio è tanto strano e biz-
zarro che non c' è pazza cosa che non gli si possa
attribuire ; ma pure secondo le ordinarie leggi del
verosimile parrebbe che la ragione per cui non
riferì quei luoghi dovesse essere che essi fossero
lacunosi o illegibili nel marmo, il quale così risul-
terebbe diverso dal nostro, e questo sarebbe adun-
.que un'altra di quelle tre stele, portata, come altri
marmi cretesi, a Venezia in tempi molto più anti-
chi, quando si edificava quella parte della basilica.
L'altro sarebbe sparito, non si sa come ; si è quasi
tentati di credere che l'autore eli quella strana
pubblicazione avesse qualche interesse in questa
scomparsa. Fu forse adoperato anch'esso come
materiale da costruzione? Ciò accadde pure ad
un'altra epigrafe cretese ritrovata in demolizioni
in Venezia e pubblicata dal Bergmann nel 1861.

Comunque sia, il testo delle tre stele doveva
essere identico e non è poi tanto importante il
sapere quale delle tre ci stia dinanzi. Ma il nostro
marmo è in parte considerevole scalpellato e in
alcuni luoghi consunto tanto che le lettere sono
affatto sparite. Quindi lacune più o meno lunghe
in tutte le righe, per gran parte delle quali offre
i supplementi il foglio veneto procedente da un
marmo non così, o non ancora così sciupato come
ò il nostro. Per istabilire l'autorità di questo
 
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