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Museo italiano di antichità classica — 1.1884/​85

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Vitelli, Girolamo: Spicilegio florentino, [2]
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https://doi.org/10.11588/diglit.9011#0181

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- 170 -

derlo notato nè dal Bast nè dal Wattenbach) è
usato come cov un co soprapposto.l) Così ffjì nel
testé rammentato Laur. 10, 18; e così anche nel
Laur. di S. Marco 687 a. 943 (cf. CF tav. I. col. 1, 5),
nel Laur. Conv. Sopp. 39 (ib. tav. Ili illustraz.),
nel Laur. 28, 26, della fine del IX o del principio
del X secolo (per es. f. 23r f £N TH T€TPA-

nAGYPCO B AAMriP,f.25r f €IPHM AAMI1P -

toòv slor^svcov Xaf.i7TQ(Òv etc.),Laur. Conv. SQppr. 177
(tav. n. 90 tcòv dyad-còv, mentre poco più giù nello
stesso f. 77r le stesse parole sono scritte così come
sono riprodotte sotto il n. 91 : e in mezzo di parola
n. 77 KwvdTavTivovnòXsì), Laur. 7, 26 s. XI (f. 170T
e 284" r aìcov = tcòv aìwvcov), Laur 4, 8 s. XI (f. 28r
tit. ttXovtovvt [sic] = ttXovtovvtoov, f. 90T tit. t -
tcòv, f. 414rtit. r àyt — rwv ayCoav età), nel Laur.
7, 10 s. XI (f 42r marg. n t i§ \ia = ttsqì tcò i$
(lad-rjrwv, f. 123r nuoce % yors' = naoà tcòv yovécov),
nel Laur. 32, 9 (f. 263v yévog dnoXXcovCov tov ttoiì]tov
t ccQyovuvTixwv etc), nel Laur. 4,13 (f. 261r dnoXX/
^AnóXXwv, 26r % àXX/ = tcòv aXXoov), nel Paris.
Gr.2935 (f. 76r tit. n noòg dXsì-avSqov tìvv&r)xm etc).

In questo ultimo codice ho notato anche un w
= cog, nel tit. della orazione Demostenica n ctvvTaì-e10.
Ma se anche questa notazione sia non infrequente,2)
non saprei dire: Graux (Rev. Crit., 1877, 2 p. 397)
non è molto esplicito e Bast (p. 798) non ne co-
nosce che un solo esempio. In generale desidererei
notizie più ampie sull'uso di lettere soprapposte,
tanto più che, se non m'inganno, il Graux stesso
non aveva sott' occhio molto maggiori esempii di
quelli citati dal Bast (p. 797 sq.). Per esempio, non è
assurdo il sospetto che qua e là si sia erroneamente
creduto di veder rappresentata la desinenza sv da
un semplice e (Lehmann p. 59) : comunicherò in al-
tra occasione facsimili di codici, nei quali si sa-
rebbe tentati di considerare come semplice e ciò
che in realtà è £v. Non raro è certamente s per sq :
alcuni esempii nè dà la tavola dal Biccard. 46,
s. XIII ex. - XIV in. (n. 116 vnsqfioXdg, n. 117

xa&aTTSQ, n. 124 VTCSQfidXXoVCtl).

E tornando per poco ad u = ad cor e cog, confron-
tando l'uso di0 por ov e og,3) bisognerà forse dire
che anticamente tanto l'uno quanto l'altro furono
rispettivamente spesso adoperati così per la desi-

*) Cf. Graux, Rov. Crit. 1876, 2 p. 274 n.; 1877, 2 p. 397.

2) Per ora posso citare soltanto il Laur. 5, 22.

3) Esernpii di 0 per ov (cf. sopra p. 13) non credo mi sieno
occorsi in manoscritti recenti: di codici, relativamente
antichi, citerò Laur. 28, 26; 7, 8; 72, 5 (almeno un osem-

nenza in g comò per quella in v ; ma in seguito eb-
bero sorte diversa, perchè 0 divenne il rappresen-
tante solito di og e forse non fu più mai adoperato
per ov, e invece m si adoperò solo qualche tempo
come wv e forse anche meno come wg.

Il rwv tachigrafico non è mai stato segnalato
finora in codici di scrittura comune. Bekker, <siyrr
Xòg r'jQmg, avrebbe potuto comunicarne frequentis-
simi esempi dal suo codice Aristotelico Ob (Ric-
card. 46). Cf. la nostra tavola, n. Ili [isTafioXì]
óè TcàvTOìv yXvxvTcccov, 114 xccxlai tcòv ccQ%óvtùn',
116 Sia xàg vTTSQ^oXàg tcòv STrayyeXioòv, 117 xctOu-
tcsq xaì sTtl tcòv txycovióTùìv sTrcofisv, 130 olov al
tcòv xa/xvóvTav. Oltre questo codice, l'unico in cui
mi sia occorsa la nota, è il solito Parigino 1853
(E ap. Bekker; s. X): in un solo luogo della Fi-
sica di Aristotele A 7 p. 191a 10 sxóv (cf. tav.
n. 142), dove però trovo di avere annotato, che
il compendio mi era sembrato di altra mano. Nel
Riccardiano (che credo della fine del s. XIII o prin-
cipio del XIV) la forma del compendio è molto
corrotta, tanto da confondersi con qualcuna delle
forme di sìvai più sopra notate. In generale esso
è un codice di scrittura molto abbreviata e punto
calligrafica: i numeri 111-131 della tavola sono
tutte riproduzioni da questo codice e valgono, mi
figuro, a darne una qualche idea. N. 112 /.lorao-
%ictg, 113 xaXoìg tcqomqovusvov tihùgOm ' sciti ó' ote
t6v cfiXÓTqwv èncavov/.isv tog dvdowSi] xcà cfiXóxa-
Xov, 115 bvTog, 118 xaxoitoioC sldiv' Tj/iaQ^/isvoi
Ss, 119 ycÌQ, 120 xaì sìg tcI xrjSr] Sè [,idXio"t* oìov-
Tca SsTv Tovg tfvyysvstg ccTtavTÙv, 121 cpvtfiv slvai,
122 Ss'ovTai, 123 nàvTtx xoivd 125 sTXst dv \, 126 sv-
voict, 127 Soxsl, 128 SixcciÓteqov sivai, 129 Ssivo-
TtjTa, 131 òq&ijV.

Già da questi pochi esempii.è facile immagi-
nare quanto sia esteso in quel codice l'uso del-
l'« tachigrafico (—), e quanta ragione io avessi
(sopra p. 11, n. 1) di non ammettere che la nota
fosse esclusivamente propria ai manoscritti più
antichi. Cfr. tav. n. 62 noXXàxig dal Laur. 5, 10
(f. 48r), sec. XIV; e dallo stesso codice n. 109
TToXXdxig (f. 198r), 110 ndXiv (f. 201r). Nel Ric-
cardiano 46 è anche frequente il r« (-h), il che
non impedisce che altre volte (come del resto

pio to yelaaux/ nell'Isagoge di Porfirio); 7, 10 (postillo
in piccola onciale : f. 123T sqq. sìg BaaL'lel, sìg MkSsvxi, sìg
0eoaé,-il) etc. Noto ormai a tutti per questa particolarità
e anche il Laur. 74, 3 (cf. Marquardt, praef. ad Galen.
scripta minora, I, p. xn).
 
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