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Museo italiano di antichità classica — 1.1884/​85

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Vitelli, Girolamo: Spicilegio florentino, [2]
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https://doi.org/10.11588/diglit.9011#0182

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già in codici molto antichi occorro la stessa li-
bertà) xa sia rappresentato da r-. Invece nel ra-
pido esame fattone non mi è mai occorso -f- per a,
che non è raro in mss. dei secoli XII-XIV. Di
codici, di cui ho preso appunto, noterò: scolii
(s. XII?) del Laur. 7, 22 s. X (non XI), per es.
f. 239r vnò rjXi * ()]Xiaxfjg) ctxxìvog; Laur. 59,3, spesso
àXX'*{ = àXXaxov), dti<pl* (= dti(f a Xcòg); ') Laur.

7, 10 (s. XI; ma il luogo a cui accenno, f. 9r, è
di mano molto più recente) àxa&aqtfi (— dxu&aq-
tita) etc. Il codice però che me ne ha fornito mag-
gior numero di esempii è il Riccard. 64 (del quale ho
accennato più sopra a p. 161 n. 2): tav. n.1 132-139
xcc&dneq, int^aXsv,naxqida, inixà xéXr^mtinsq riva
Xe'orxa, naqa, naqàyqovu. E da questi esempii si
vede anche che il copista adopera alla rinfusa tutte
le forme di notazione tachigraflca dell' «.

Nel Riccard. 46 è degno anche di nota la ten-
denza a capricciose inserzioni di lettere in lettere
C« e o nel d; *, v e q neh' o etc). Volendo, si po-
trebbero raccogliere da altri codici stranissimi in-
trecci di siffatto genere.2) Per es. non è raro wg
scritto così come è rappresentato sotto il n. 141
della tavola (dal cod. Paris. Gr. 2053 f. 65T; Aristot.
Phys.). Di interesse alquanto maggiore (se pure
è da ammettere una gradazione di importanza in
piccolezze siffatte) è l'abitudine comune a non po-
chissimi copisti di collocare un a finale (nella for-
ma lunata) prima della vocale dopo della quale
va pronunziato. Tutti sanno che già in manoscritti
onciali molto antichi (specie in fine di linea) Q> non
è ero, ma og ; ma oltre questa sillaba, generalmente
rammentata dai paleografi (per es. Gardthausen,
Gr. Pai. p. 113), vale la pena di ricordarne altre:
tav. n. 45 yévovg (dal celebre Laur. 32, 9; Aesch.
Pers.l85Kirchh.), n.46 Xóyoig (ib.v.215), n.59 era?
(Laur. di S, Marco 68? a, 943, f. 53* in fine di li-
nea), 3) n. 140 [ófioijwg dal già citato Paris. Gr. 2063
f. 143\

Si sarà inoltre notato, negli esemph addotti dal

») Cosi questo codice come il n. 2 dello stesso Pluteo
e il codice Ven. Marc. 460 (cf. per la nota i- Leumann
p. 32) hanno reputazione di autografi di Eustazio (Laur.
Iliade; Ven. Odissea): io la credo una reputazione ben
meritata e cercherò di confermarla con opportuni argo-
menti in uno dei prossimi fascicoli della ' Collezione Fio-
rentina '. Dello abbreviazioni tachigrafiche usate da Eu-
stazio ricorderò qui soltanto il rag (Laur. 59, 3 f. 77T ìq^),
di cui molti esempii da altri codici comunicai più sopra
(p. 11 e 32).

') Per es. noi Laur. 11, 7 (s. XIV), in cui ò facile trovaro

Riccard. 46, l'uso della lineetta orizzontale col va-
lore di v, anche non in fine di linea. Che ciò non
sia così raro come credeva il Leumann (p. 3), lo
osservò già il Graux (Rev. Crit. 1880, 2 p. 405) ;
ad ogni modo non è inutile aggiungere qualche
esempio. Laur. 4, 13 snaq\<rì; Laur. 7, 8 f. 189r
CIAO KPHN (= eìdov xovorjv)\, CHMeiO (sic)
• xaì\ etc; Laur. di S. Marco 689 (in una postilla
di mano- del S. XIV 0 XV) rqrjyóqwg ó Nvcro-rjg
dòsXcfòg jxsyàXov BatiiXsiov inyvstie xovxo xòv rqrt-
yóqiov àno&avóvxa etc ; Laur. 4, 11 (s. XV) f. 1091"
(Lycurg. Leocr. § 10) xovxò vvv, UT (ib. § 119)
sdvvaro, 101T (§ 138) etiti, ib. (§ 139) deóanuvrjxè etc;
Laur. 69, 20 (s. XIV) etc Lehmann ricorda anche
un esempio di v = Vfi\ secondo una notizia che
trovo ap. Voemel, Demosth. Concion. p. 213, nel
cod. LXX della Bibl. Imper. di Vienna (s. XV)
' prò cefi saepe occurrit à 1. Ma bisognerebbe ve-
dere se quel copista non commesse mai l'errore
(in cui spesso cadono altri copisti) av per a\i\ per
es. nel Laur. Conv. Soppr. 177 f. 74r è scritto
addirittura iv <xv\ifoxeq yXwtitimg (= èv d;i(poxé-
qaig yX.).

Abbiamo vista molto frequente nel Riccard. 46
anche la notazione tachigraflca dell' aq (cf. Graux,
Rev. Crit. 1880, 2 p. 406): aggiungo qui l'indica-
zione di altri codici in cui essa occorre più o meno
frequentemente. Essi sono: Laur. 10, 4 in scolii
del S. XI (tav. 11. 103 a/.iaqxdvovtii, 104 xa ctj.iaq-
xrjiiaxa); Laur. 10, 18 (per es. f. 31v nfisvidrfi,
31r @pdq~'= paqfiàqoig etc. etc.) ; Laur. 4, 13
(afii'ag, dvfav etc); Laur. 60, 3; Paris. Gr. 1853
(nel Coisl. Gr. 249 = S. German. 249, ò frequentis-
simo) etc. etc. '*) E a proposito di sillabe con q,
ecco alcuni esempii di aq tachigrafico oltre quelli
addotti più sopra (p. 15 e 32). Il n. 75 della ta-
vola riproduce vócoq dagli scolii del Laur. 60, 3
(s. X) e la stessa parola, egualmente scritta, mi
ò occorsa nel Laur. 4, 13 (s. X), nel Laur. 10, 18
(s. XI), nel Coisl. Gr. 249 (schol. f. 134r) etc. Cf.

l'imo rappresentato da un grosso » in mezzo al quale ò
inserita la sillaba nò; oppure, poniamo, nella parola x^9vros
v i inscritto nella curvatura del <? (comò « in q ap. Gardt-
hausen 1. e).

') Così presso a poco o«(pù>g o ó^oitos nel Laur. 7. 22
(S. X) f. lllr; ovT(»g\, ojuog\, awsx<ì>g\, ev»éwg\ etc. nel
Laur. 7, 26 (s. XI), in cui però lo due lettere sono fatto
con un tratto solo.

4) Dal solito Laur. Conv. Sopp. 177, f. 85r, il n. 86 della
tavola riproduce un yà$ scritto con l'abbreviazione ado-
perata per yqdcpE, yqàcpeTcu etc.
 
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