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Museo italiano di antichità classica — 1.1884/​85

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Comparetti, Domenico: L' iscrizione del vaso Dressel
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https://doi.org/10.11588/diglit.9011#0197

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- 186 -

quella epigrafe (riprodotta anche in Inscr. gr. anti-
quiss. n. 254) non potrà a meno di riconoscere nello
stile della scrittura una cert'aria di famiglia, per
così dire, colla nostra, malgrado la diversità della
lingua. Quel vaso fu trovato a Cuma ed ha anche
questo di comune col nostro ch^ȏ di assai piccole
proporzioni (nella tavola del Minervini è riprodotto
in misura originale) ; è anche quello un vaso da un-
guenti o profumi; l'iscrizione, di soggetto diversa
dalla nostra, è come qui graffata e circonda tutta
la periferia del vaso ; la grandezza delle lettere è
anche la stessa; finalmente ciò, che è anche più
notevole, è costituita da tre righe che si succedono,
non già povGTQoyrjdóv, ma andando tutte tre, come
le nostre, da diritta a sinistra, fatto di cui, com'è
noto, non abbiamo che rari esempi fra le iscri-
zioni greche oggi conosciute.

Argomentando da certe singolarità della scrit-
tura, il Pauli ha pensato ad un etrusco ; ma non
c' è veramente nulla in tali particolarità che non
possa applicarsi ad un greco. La direzione da de-
stra a sinistra, tanto estranea ai monumenti ro-
mani conosciuti, la formazione delle lettere acl an-
golo acuto, l'uso singolarissimo del P invece del R
universalmente e unicamente usato nei monumenti
romani, tutto ciò accenna ad un greco. Anche nel
modo di formare la lettera a, come già notava il
Dressel, non riconosciamo le caratteristiche di que-
sta lettera quale si vede nei più vetusti monu-
menti latini, ma piuttosto quelle che ha negli an-
tichi monumenti etruschi e greci ; par di scorgervi
invero le abitudini di una mano esotica avvezza
a curvare l'asta sinistra. Lo straniero che ado-
pera una lingua e un alfabeto non proprio si tra-
disce in più errori, taluni de'quali rivelano più
propriamente un greco. Già il Dressel notò che
in un luogo certamente, e secondo lui in due, co-
stui segnò K contro l'uso romano d'allora e cor-
resse poi C, e ciò fece uniformandosi ad un sistema
di scrittura da lui stesso senza svista osservato
nello scrivere la linea antecedente, nella parola
cosmis. Notevolissimo è l'errore commesso e poi
corretto nella parola malo. La lettera l fu scritta
dapprima in forma greca e propriamente in quella
forma coli' angolo in alto fj che rimase affatto
estranea, non solo ai romani, ma anche agli altri
popoli italici; poi fu corretta secondo la forma
romana coli' angolo in basso. Ciò escluderebbe la
pertinenza di chi scrisse alle colonie calcidiche.

Solo uno straniero poteva confondere at con et;

e se neited è irregolarmente scritto per nited ciò
ben si spiega in uno straniero che pronunziava
male o confondeva uri vocabolo con altro di suono
a ( li ao. Ma più propriamente un greco può avere
scritto einom per oinom, pensando al suo tv.

Il verbo sto usato transitivamente è una no-
vità,'ed anche tale da sorprendere non poco. Fi-
nora ne sono stati cercati invano altri esempi
nella latinità conosciuta, nò so se mai se ne tro-
veranno. Può darsi fosse una peculiarità della lin-
gua parlata all'epoca di questa epigrafe e che poi
ne sparisse ogni traccia, prendendo altri verbi,
come sisto, statico, constituo ecc., il posto di sto nei
significati del suo uso transitivo. Ma non è vano
notare in questo luogo che, tanto nella costruzione
quanto nell'estensione del significato, qui sto è ado-
perato precisamente come il greco foriy/M.

Invero, abbiamo quel Dvenos med feced che ci
dà un nome e parrebbe poterci aiutare a defi-
nire se chi scrisse era romano o no. Certo che
quello è un nome proprio, ed oltre all' esser unico,
è ben lungi dall' aver quel carattere spiccato che
ha per es. il Novios Plautios della cista Ficoroni di-
nanzi a cui ogni sospetto di non romanità diviene
assurdo. Ma è poi il nome di un uomo? Il soggetto
e il tenore dell' epigrafe è tale che dinanzi a que-
sto Dvenos non si può a meno di pensare a Venus,
la dea datrice di ogni grazia e avvenenza e anche
delle arti e dei mezzi per procacciarsela. Ognun
vede senza che io il dimostri come il nome di
Venere starebbe qui al supposto e quadrerebbe
sotto ogni aspetto. Ad un antico Dvenos per Venos
non si può pensare supponendo un arcaico Benos
che certamente non ha esistito. Nel D non potrebbe
dunque vedersi che l'abbreviazione di quella qua-
lifica che nell'altra riga accompagna il nome di
Giove e dovrebbe quindi risolversi questo DVENOS
in D(eiva) Venos. In altra epigrafe antica troviamo
devas Corniscas; in una Volsca troviamo deve De-
clune; in una Osca deivai Genetai. Quanto all' ab-
breviazione non si potrebbe certo mostrarla im-
possibile, nè del resto sarei io il primo a supporre
qualche abbreviazione in questa epigrafe. Ciò che
veramente impedisce di dar consistenza a tal le-
zione di quel nome è piuttosto questo : se si tro-
vasse scritto DMENERVA, sarebbe certissimo do-
versi leggere D{eiva) Menerva, poiché non potrebbe
intendersi altrimenti ; lo stesso non può dirsi per
DVENOS, giacché può pur darsi che sia questo un
nome di uomo, Dvcnus. Invero, non ce n'è esempio
 
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