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Museo italiano di antichità classica — 1.1884/​85

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Comparetti, Domenico: L' iscrizione del vaso Dressel
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https://doi.org/10.11588/diglit.9011#0198

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- 187 -

nè fra i romani nò. fra i greci; ma puro non si può
certamente affermare che sia impossibile un nome
tale così fra gli uni come fra gli altri. Già il Jordan
e altri ha notato la possibile esistenza di un nome
romano Bonus o Bennus; ed io debbo aggiungere
che è altrettanto possibile un nome greco L/sivog,
dor. 6/rjvog; cfr. pel vav il A/eiviag di un'anti-
chissima iscrizione di Corinto Inscript.gr. antiquiss.
n. 15.

Si può dunque esitare nello spiegar questo no-
me ; ma chi trova più verosimile che sia il nome
di un uomo dovrà pur concedermi che tal nome
non ha alcun carattere essenzialmente romano e
poteva anche esser portato da un greco. Ad un
etrusco è impossibile pensare.

Non mi resta che da aggiungere qualche osser-
vazione sull'età a cui la nostra epigrafe può ri-
ferirsi.

Dalla lingua poco si può indurre. Abbiamo visto
che l'arcaismo non è poi qui tanto inaudito quanto
pensarono altri interpreti. Pur tuttavia l'impronta
di una antichità considerevole si ravvisa in tutta
la parte intelligibile dell'iscrizione. Forme e voci
quali Joveis, cosmis, manos, noinos sono certamente
molto antiche, e quantunque non ignote o facil-
mente spiegabili per fatti analogici ò questo il
primo monumento che ce le faccia conoscere di-
rettamente e di fatto. Ma esse e singolarmente le
due ultime ci dicono soltanto che l'epigrafe ap-
partiene al tempo anteriore ai più antichi monu-
menti superstiti, quando bonus non avea preso
ancora il posto di manus, nullus quello di noinos
di cui i grammatici latini non pare trovassero nei
più antichi scrittori che il residuo noenum per non.
Ma ciò è poco, poiché ci dice soltanto appartenere
l'iscrizione a quel periodo per cui le fasi della
lingua ci sono ignote e non ci aiuta a determinare
nulla di più preciso sull'antichità a cui essa può
risalire. Dal trovarla ora più disinvolta e chiara,
meno ispida di speciosità arcaiche inaudite, de-
durre che sia meno antica di quello parve alla
prima, sarebbe un errore basato su di un falso
postulato circa la vita del latino antico, quasi nei
primi periodi della sua esistenza storica la sua mo-
bilità fosse tale da dover diventare poco meno che
irriconoscibile in due o tre secoli. Badiamo di non
esigere troppo grosse cose da questa "kindliche
Unbeholfenheit „ che Buecheler crede poter attri-

buire all'antichissimo latino: potrebbe darsi che
un giorno i dotti riconoscessero questa " kindliche
Unbeholfenheit „ piuttosto nella scienza odierna
che in soggetti tali va ancora a tentoni e spesso
imo Gxóroj ^Qt'[isi ovdèv STTsXnoixsva noti xatgiov
sxToXvTtsvasiv. E la storia di questa epigrafe è di
ciò un bel documento.

Qual'è, l'arcaismo della lingua è tale che non
maggiore si ha diritto a supporre quello delle XII
tàvole nella forma loro originale. Se fu veramente
latino il fatto che qui per prima volta osserviamo
di sto adoperato transitivamente per statuo, ciò non
potrebbe ammettersi senza pensare ad un'epoca
molto remota dai tempi della lingua meglio cono-
sciuti. Evoluzioni di tal natura domandano assai
tempo per effettuarsi, singolarmente in vocaboli
di uso tanto grande qual'è il verbo stare.

Ciò che più della lingua ci aiuta a congetturare
sull'epoca dell'epigrafe è il criterio paleografico.
Ho detto che non credo al z che altri han vo-
luto riconoscere ove si legge die; non do adunque
alcun peso a quanto il Dressel deduce da questo
fatto. Abbiamo però certamente C = c, g, il che
vuol dire che l'epigrafe è anteriore alla introdu-
zione del G, sia che questa si ripeta da Carvilio
Ruga, sia, come vuole Jordan, da Appio Claudio
Ceco. Ciò la direbbe anteriore almeno alla prima
metà incirca del quinto secolo di Roma. Ma di
quanto anteriore? Abbiamo qui il q rappresentato
col segno del koppa greco e questo giustamente si
considera come special distintivo di antichità nelle
poche iscrizioni latine in cui ricorre e che il Dressel
ha notato (G-arrucci, SyUoge Inscr. lat. n. 536,
54 7b, 700). Ma in quelle iscrizioni altre lettere
quali p. es. a, m, r hanno tuttavia la forma schiet-
tamente romana ; qui invece l'a ha ancora la
sua antica forma greca, Ym ha l'antichissima
forma greca a cinque aste come nella iscrizione
della lekythos di Tataia di cui sopra abbiamo par-
lato; e Yr ha anch'esso la forma greca P. A dir
tutto in una parola, qui tutte le lettere senza al-
cuna eccezione serbano ancora la primitiva loro
forma greca propria di queir alfabeto da cui pro-
venne l'alfabeto romano. A questo si aggiunge
che anche la direzione della scrittura da destra a
sinistra è quale la ritroviamo in quel monumento
antichissimo di quell'alfabeto. Tutto ciò è segno
di alta antichità, È facile dire che naturalmente
i romani apprendendo in epoca antica la scrittura
dai greci dovetter cominciare a scrivere da destra
 
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