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Museo italiano di antichità classica — 1.1884/​85

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Halbherr, Federico: Iscrizioni di Keos
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https://doi.org/10.11588/diglit.9011#0229

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- 217 -

integrità, non dona al dio la corona da lui portata
nelle feste di Delo, bensì quella che il popolo gli
aveva decretato come segno d'onore.

È veramente a deplorarsi che questa iscrizione
sia frammentata nei luoghi per avventura più im-
portanti e più difficili. Nella parte inferiore della
facciata G, ove continua la lista anatematica, ma
con una sensibile varietà e modificazione di for-'
mole e forse anche di dedicanti, si verifica di nuovo
il caso di un testo fortemente lacunoso ed in parte
difficile a supplirsi. I depositi qui registrati si di-
vidono in due specie, cioè in offerte di corone ed
in somme di denaro corrispondenti ciascuna al va-
lore (od al peso) d'una corona. Alle prime spet-
tano le linee 16-18 e 31-40, alle altre le lin. 19-30.
Le forinole di dedica mostrano tre tipi diversi:
uno rappresentato mediante il nome dell' offerente
(accompagnato probabilmente dalla carica) ed il
verbo ctvé&rjxs, espresso nella lin. 16, sottinteso
nelle due successive : cO <Sswa ecvé&qxs xòv axétpa-
vov : H — cO Selva tòv axéyavov: H ecc.; il secondo
formato alla maniera del pari nota : Haqà xoQr/yov
xov óeìvog 0 Haqà Gxqaxmàv xàv Ssivcav rov Gxt-
(puvov sXdfio/nsv '. H 0 ìXd^o/isv xòv Gxt'(pavov : H
(lin. 31-40) ; il terzo infine in un modo eguale quanto
alla forma, ma diverso nel concetto e rispondente
alla natura dell'offerta, se in questo caso si può
chiamar con tal nome, cioè : Ilaqd xov ósTvog sXd-
fio/iev xò elg xò(v) axscpavov. H, vale a dire xù
XqvaCov xò slg xò(v) axéipavov (1. 19-30).

Nei grandi templi ove facevano capo i più splen-
didi e costosi doni votivi avveniva che le corone
e gli oggetti d'oro in generale si accumulassero
in tale quantità, che, quando lo stato — almeno
in Atene — voleva decretare una corona, anziché
farla apprestare da un artefice la commetteva alle
autorità stesse del tempio pagando a queste il
denaro corrispondente al suo valore. In tal senso
riscontriamo in un simile rendiconto attico spet-
tante all'amministrazione di Licurgo (C. I. Att. II,
741, A, fr. /; lin. 11-12) l'espressione " 'Agiti/iog
Gxsydvwv [wv xò] %qvg[ìov] sXd^o/.isv xxX. „

Il denaro in questo modo ricavato apparentemente
è il prodotto di una vendita, ma in realtà può
essere considerato come un' offerta, giacché la co-
rona per cui era destinato rimaneva nel tempio
stesso come dono votivo. Senza escludere che an-
che a privati riuscisse procurarsi per qualche so-
lenne ricorrenza delle corone in tal guisa, più
naturale è però ammettere che lo stato, come in

generale, così nel caso nostro sia quello che versa
tali somme nelle mani degli epistati del tesoro sa-
cro ; onde paruri che il frammento della lin. 19 si
possa senza violenza supplire: Ilaqd xov drjfiov,
xov Ssìvoq Gx[s(pavmi)-évxog, sXd^ofisv: (óqaxfidg) H ;
mentre nelle seguenti, l'espressione naqd xov Sr^iov
potendo benissimo essere sottintesa, è sufficiente
il semplice genitivo assoluto della persona coro-
nata colla somma deposta dal popolo per l'inco-
ronazione: Tov óttvog Gxstpavco&s'vxog, (eXdpo/xev)
xò dg xòv Gxé<pavov : H. Confesso però che la ca-
pacità delle lacune, la quale non è del tutto esat-
tamente calcolabile, non permette di ritenere que-
sto modo di restituzione come indiscutibile.

Notevole è nell'ortografia delle linee 20, 21, 23,
24 e 25 il fatto fonetico dell'elisione del v finale
dinanzi a sibilante : xò axtcpavov per xòv axéyavov.
Del pari l'assimilazione delle consonanti finali colle
iniziali di parola è osservata costantemente in tutta
l'enumerazione dei terreni venduti delle col. B e C.

Il periodo di tempo abbracciato da questo ren-
diconto non è determinabile. I nomi degli arconti
salvati nella parte rimasta del documento, rite-
nendo come una sola e medesima persona il KdX-
Xmnog delle lin. 20 e 21 della facciata principale B,
Sono dieci, cioè: Ilavxdyad-og (B, 15), KxrjGt/j,t'vrjg
{B, 16), Osoxvótjg {B, 17), mktov (B, 18), KaXXi-
[lévrjg {B, 19) KdXXmvcog (B, 20 e 21), 2wxQixog
(B, 22), Jsivoxtfg (C. I. Gr. 2363, 1. 8-9), . . rjoi'ag
Nixrjqdxov (C. I. G. 2363, 1. 12-13), 'AXs^ixéXrjg
(A, 35); e questo ci fa almeno supporre che tal
periodo non sia minore di dieci anni. Le magistra-
ture degli strategi che pure potrebbero aiutare il
calcolo sono conservate in numero anche inferiore.

Non più da vicino si può stabilire l'epoca del-
l' epigrafe. Dei molti nomi di persone che essa con-
tiene taluni si ripetono bensì in altre iscrizioni di
Keos, ma per nessuno si può dimostrare l'identità,
sopratutto in documenti databili. La forma delle let-
tere ed i caratteri ortografici non ci permettono di
scostarci di troppo dalla fine del IV secolo a. C.

I nomi ^Aqsxdg {A, 50 e [B, 33]), 'AyXwxXsidrfi
(A, 60 e [B, 61]), Jaitwv (B, 6), KxrjGtfisv^g (B 16),
<P?]iX(o)(pdvxrj (B, 40), Oeoxt'Xsice (B, 44), [*A[i£ivtg?]
(B, 48), 'Eqccxi'wv (-B, 56), GctGi'Xag (B, 59), QsocpqdGxrj
(B, 62), 'Aix<pixti$v)s (B, 62) mancano al Dizionario
del Pape.

Un residuo di ionismo si ravvisa nei genitivi
dei nomi colla desinenza in xXfjg: xXéog e xXeiovg
(A, 12, 19, 24, 31, 37; C, 36).
 
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