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Museo italiano di antichità classica — 1.1884/​85

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Poggi, Vittorio: Iscrizioni etrusca su di un vaso fittile a forma di uccello
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https://doi.org/10.11588/diglit.9011#0378

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- 366 -

può osservare di passata che una tale interpreta-
zione suppone nell'etrusco un laconismo singolare ;
giacché per trovare il senso di due parole è d'uopo
sottintenderne altre quattro di nesso fra l'una e
l'altra. Ma che cosa diventerebbe la traduzione
del Pauli se l'epigrafe mi • seleni a, invece che su
di un'urna cineraria, si leggesse sopra un vaset-
tino, come p. es. mi kaizu (G-. App. 663), o so-
pra un piattino, come mi lar (Poggi, Contrib. 28),
o su di un " vasetto a forma di fallo, „ come mi
lar#a tartinaia (F. 233ter)? In quest'ultimo
caso, più particolarmente, essa avrebbe tutta
l'aria di una facezia di cattivo gusto.

Ora, i casi in cui al mi fa seguito un nomina-
tivo sono nell'epigrafia etrusca certamente assai
più numerosi di quanti ne indichi il Pauli. Questi,
incalzato dalle esigenze della sua teoria, addita
ovunque dei genitivi ; ma le sue qualificazioni sono
talvolta in flagrante contravvenzione alle leggi più
inconcusse della declinazione etrusca. Così egli
traduce la dianzi citata iscrizione mi lar in: clies
{ist) cles Lar, " questo (è) di Lar, „ facendo del
nome lar un genitivo, appunto perchè essendo
scritto su di un piattino, non può applicare a que-
sto l'interpretazione che ha dato all'urna di Se-
lenia. Ma se l'autore dell'epigrafe avesse voluto
esprimere il nome del titolare al genitivo, non
avrebbe scritto altrimenti mi lar, bensì mi larus,
o in forma abbreviata mi lars', come su noti vasi
(F. Ili Suppl. 286, 389)! Voler che lar sia un geni-
tivo mascherato come elice il Pauli (Etr. Stucl. Ili,
p. 7), è quanto applicare la " legge dei sospetti „
alla linguistica. Un idioma, del resto, in cui parole
che hanno una desinenza nominativale ben accer-
tata possono all' occorrenza ritenersi per genitivi,
sarebbe affatto eslege, e tanto varrebbe rinunciare
alla speranza di conseguirne l'interpretazione.

Se non che la teoria del mi = Me obbliga il
suo autore a cambiare talvolta, non pure il caso,
ma, strano a dirsi, perfino il genere di un nome:
come gli accade, esempligrazia, riguardo alle iscri-
zioni mi lar#ia dei vasi ceretani F. 2-405-6 ; dove
egli fa del nome lar-5-ia un genitivo, non solo, ma
un genitivo maschile, traducendo: clies [ist] cles
Larth, " questo [è] di Larth „ (Etr. Stucl, II, p. 58).

Qui la questione si riduce a minimi termini.
Havvi egli, o no, nell'onomastico etrusco un pre-
nome femminile lar-^ia = Larthia, correlativo al-
l'ovvio maschile lar#? La realtà di un tal prenome
non può esser messa in dubbio essendo compro-

vata da mille esempi, fra cui cito a caso i titoli
etr-lat. larthia ■ otanis (F. 857); larthia • he-
rennia • iollonis (F. III Buppl. 115). Ciò essendo,
come si potrà egli nel caso citato riferire il pre-
nome stesso ad un soggetto maschile? Se tito-
lare delle citate iscrizioni fosse stato un lar#,
il suo prenome al genitivo sarebbe stato scritto
lar^ial, o lar-S-al, come in tante altre, e non mai
lar^ia. Questa ultima forma prenominale spetta
pertanto ad una donna, e se tale, ho appena bi-
sogno di soggiungere che essa è al caso retto e
non già al genitivo, giacché in tal caso riuscirebbe
flessa in lar^ias, come nelle note epigrafi mi
lar^ias aupinas (F.UISuppl.SOò), mi lar^ias
tramenas (ib. 307) ecc.

Da qualche tempo nel campo etruscologico si
è bandita una crociata contro l'elemento femmi-
nile. Questo, infatti, era una volta assai prepon-
derante. 0 direttamente come soggetto del titolo,
o indirettamente sotto forma di matronimico, la
donna entrava, di prammatica, in quasi tutte le
iscrizioni. Il criterio giudiziario " clierchez la femme „
era, nella maggior parte dei casi, la bussola che
orientava gli etruscologi nel procedere all'analisi
d'un titolo epigrafico.

Diverse cause concorrevano ad accreditare que-
sta dottrina.

Le forme lar-5-i e arn^L e conseguentemente
le correspettive lar-5-ial e ambiai, si ritene-
vano onninamente femminili.

I nomi con desinenza in -sa (-sa), come velsisa,
tutnasa, cumeresa, vetusa ecc. erano detti
uxorii e considerati quali cognomi femminili di
coniugio dedotti dal nome del marito.

Le voci uscenti in -si (-si), come atranesi,
aulesi, ale^nasi, petrus'i ecc., si dichiaravano
per nominativi femminili, derivati da una forma
pleniore in -sia.

Si capisce come applicando questi criterii alla
classificazione del materiale epigrafico etrusco, i
titoli muliebri risultassero in maggioranza. E si
capisce del pari come nella analisi degli elementi
epigrafici, a causa sopratutto del carattere fem-
minile attribuito alle ovvie forme ambiai e
lar^ial, si facesse una parte assai larga al co-
sidetto matronimico.

II matronimico veniva considerato quale ele-
mento essenziale del sistema onomatologico etru-
sco; il patronimico invece, come un'eccezione, il
cui uso credevasi introdotto posteriormente a imi-
 
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