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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 1.1889

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Sogliano, Antonio: L' epigrafe di P. Plozio Faustino
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https://doi.org/10.11588/diglit.8558#0321

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569

L'EPIGRAFE DI P. PLOZIO FAUSTINO

570

non è chi non veda in tale ricordo un altro non piccolo
pregio della iscrizione di Plozio Faustino. L'anno 71
di Cr. adunque era demarco in Napoli Erennio Mne-
stere ; ma agli Herennii toccò anche un'altra volta
la suprema magistratura della demarchia, poiché si
ha memoria di un demarco L. Erennio Aristo ('). Quali
poi siano state le attribuzioni o competenze del de-
marco nell'epoca romana, se ve ne sia stato un solo
ovvero più, dei quali uno l'eponimo, se sia da iden-
tificare con l'arconte, o meglio se la demarchia e l'ar-
contato, magistrature coesistenti nel tempo imperiale,
riguardassero una sola e medesima persona, cioè il
supremo magistrato, e, nel caso negativo, quali rap-
porti siano interceduti tra il demarco o i demarchi e
gli arconti, son tutte questioni, alle quali non siamo
ancora in grado di rispondere; e quanto sinora si è
scritto in proposito da dotti italiani e stranieri (2)
non è che congettura. Lo stesso Mommsen vi accenna
appena, lasciando così intravedere che, essendo ancora
assai scarsi gli elementi, qualunque indagine è pre-
matura.

Diversamente però va la cosa in riguardo all'ar-
contato napoletano, nel quale oggi generalmente si
riconosce la suprema magistratura municipale romana.
Non so persuadermi come i nostri eruditi, per deter-
minarne la natura, non abbiano posto mente al tempo,
in cui l'arcontato appare nelle lapidi; essi invece fe-
cero le più strane congetture, e lasciarono ad un dotto
straniero, il Reinesio (;!), il merito di quella identifi-
cazione, che gli studj posteriori hanno pienamente
confermata. Di certo il nome di arconte non esi-
steva nella costituzione autonoma napoletana, in cui
il demarco era a capo della cosa pubblica; ma venne
introdotto, quando, mutatosi l'ordinamento politico, i
Napoletani gelosi della propria lingua, per indicare i
quattuorviri o i duoviri, vollero adoperare tal pa-
rola, che, pur significando suprema magistratura, fa-
cesse quasi dimenticar loro la immediata dipendenza

(') C. I. Gr. Ili n.'5797 = Kaibel, op. cit. n. 741.

(2) Ignarra, De pai. p. 110 sg. ; De ph ra.tr. p. 223 in nota. —
Gervasio, hcriz. Puteol. dei Luccei p. 58 in nota. — C. I. Gr.
Ili, p. 717. — C. I. L. X p. 172. — Kaibel, op. cit. p. 191. —
Beloch, op. e 1. cit. : Ercjànzungen und Nachtràge p. 464. La
par.ila demarchus manca affatto nella Real-Encyclopculie del
Pauly.

(3) Sgnt. Tnscr. Ant. classis VI, n. LXX p. 429 sgg.

da Roma (4). Se non sono altro dunque che duooiri
gli arconti menzionati nei senatusconsulta napole-
tani (5), ne consegue che l'antarconte equivale a prae-
fectus iure dicando. Così nel nostro, come nel terzo
decreto di Tettia Casta è antarconte Giulio Liviano;
ma nel primo decreto relativo alla medesima sacer-
dotessa è relatore presso il senato l'antarconte Tran-
quillio Rufo, dunque nello stesso anno 71 di Cr., nel
quale Fulvio Probo era uno dei due arconti, troviamo
per ben tre volte sostituito dall'antarconte il supremo
magistrato napoletano ; e delle tre, due volte il mede-
simo decurione, cioè Giulio Liviano, venne chiamato
a sostituire il duumviro.

E non senza un giusto sentimento di orgoglio io
ripenso a questa continuità della lingua, del costume
e di talune istituzioni, che la mia terra natale seppe
conservare non solo in mezzo all'elemento italico, col
quale essa era in contatto, ma, quel che è più, contro
l'urto formidabile del romanesimo pervadente. Il gre-
cismo, attestatoci dalla concorde testimonianza degli
scrittori ('>) e dei monumenti, è il fuoco sacro, che
Napoli, vigile vestale pei' tal rispetto assai più che
sirena incantatrice, riuscì a tener vivo attraverso i
secoli. Al vedere che ancor vi fioriva tanta parte di
vita greca, il geografo di Amaseia si sentì come in
casa propria, e così a Napoli come a Taranto e a
Reggio tributò il vanto di non essersi imbarbarite.
Per rendersi ragione di un tal fatto, è uopo ammettere
che i Neapolitani, già legati a Roma con un foedus
aequissimum, e che non senza un vivo contrasto fra
loro avevano accettata la cittadinanza romana (7), nel
dichiararsi fundi, abbiano posto come patti l'uso offi-
ciale della loro lingua e la conservazione di alcune
antiche istituzioni ; e dobbiam credere che Roma, la
quale, impartendo a tutti i socj la cittadinanza, mi-

(4) Per la voce uQXovreg nel significato di consoli cfr.
Dione Cassio LUI, 30, 0.

("') Mentre la menzione di IIyi> ricorre in qualche epigrafe
latina napoletana, non ci è pervenuta alcuna lapide latina col
ricordo dei ITLIviri. Però sono memorati da Cicerone {ad Att.
X, 13).

(«) Strab. V, p. 246 e VI, p. 253. — Tacit, Ann. XV, 33.—
Veli. Patere. I, 4.

P) Cic. Pro Baiò. 8, 21 : In quo magna contentio Hera-
cliensium et Neapolitanorum fuit, quum magna pars in iis
civitatibus foederis sui libertatem civitati anteferret.
 
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