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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 5.1895

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Caetani-Lovatelli, Ersilia: Di una piccola larva convivale in bronzo
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https://doi.org/10.11588/diglit.9299#0010

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7

DI UNA PICCOLA LARVA CONVIVALE IN BRONZO

8

Così, por esempio, un genio pensoso col capo re-
clinato su di una face arrovesciata; un leone che sbrana
un cavallo ; un banchetto funebre con uomini e donne
coronati di fiori tra musiche e danze, per allusione
forse ai sensuali godimenti degli Elisi ('); una ma-
schera gittata a terra, quasi a significare che il dramma
della vita è finito ; od altre simili rappresentanze delle
quali non accade far qui menzione, intendevano tutte
ad accennare 1' ultima linea rerum. E quindi non
farà maraviglia, che l'immagine dello scheletro assai
di rado s'incontri nei funebri monumenti ; e gli scarsi
esempi che ne abbiamo spettano per la più gran parte
ad un tempo relativamente tardo. Del resto è d'uopo
riflettere, che gli antichi anziché dare a tale immagine
quel lugubre significato che ebbe di poi, se ne ser-
virono all' incontro il più delle volte a vie meglio
eccitare, col pensiero della morte, a darsi bel tempo
ed a godere follemente dei brevi piaceri del vino e del-
l'amore. Inghirlandati di rose e di mirto, e mollemente
distesi a mensa su soffici letti coperti di drappi pre-
ziosi, essi rapivano frettolosi all'attimo che fugge la
gioia che più non ritorna, mentre cori di bei garzoni
e di belle fanciulle cantando lascive canzoni e mo-
vendo danze voluttuose, rammentavano il celebre viva-
mus moriendum est,, massima che ricorreva frequente
nei conviti. E solevasi pure in sì fatta occasione ed
al medesimo effetto, placare con fiori e con vino il
genio tutelare, memorem brevis aevi (2).

(') Cf. Kaibel, Iscript. Graecae Siciliae et Italiae, 2188;
Reme ArchéoL. 1846, p. 359. F. Eavaisson, Les Monuments fu-
néraires des Grecs. Ad un ordine d'idee affatto diverso, e di
un concetto certamente più elevato, appartiene la scena che ci
presenta un'urna cineraria di Chiusi, ove è figurato un allegro
convito cui assistono vari personaggi, due dei quali, i principali,
un uomo e una donna, per avventura due sposi o due amanti,
giacciono su di un letto tricliniare. Dall'alto pendono festoni e
ghirlande, e della geniale festa par che ognuno prenda grandis-
simo diletto, se non che un demone infornale tutto ammantato di
un drappo che gli lascia appena scoperto il volto, comparendo re-
pentinamente dietro ai convitati, minaccia di metter fine alla festa
e disciorre i dolcissimi nodi di un amore, che si credeva eterno. È
il pensiero della morte, il quale mescolandosi alle gioie della vita,
viene a rammentare la frivolezza e la fugacità di questa. [Revue
Archéol. 1846-47, p. 360-61 ; Bull. d. Just. 1844, p. 87]. La quale
scena ha molta relazione con le famose danze macabre, che i secoli
di mezzo e i susseguenti rappresentarono sì spesso tanto in
pittura quanto in scultura, e nelle quali la morte, sotto la forma
di uno scheletro, sopraggiunge minacciosa nel mezzo dei ban-
chetti e delle feste, e con beffardo sogghigno sussurra parole
sinistre alle orecchie dei ricchi, e dei giovani felici e innamorati.

(2) Orazio, Epist. II, 1, v. 144,

Tutti, senza dubbio, ricordano, la vivace descrizione
tramandataci da Potronio (') dell'opulenta cena del
borioso Trimalcione, il quale facendo ad un tratto
comparire in sulla mensa una piccola larva argentea,
e movendola mediante catenelle, invitava i commen-
sali non che a considerare di quanto poco momento
fosse l'uomo, ma eziandio a fruire i beni della vita
finche l'età e i fati lo concedessero:

Eheu nos miseros, quarti totus homuncio nil est.
Sic erimus cuncti postquam nos auferet Orcus.
Ergo vivamus, dum licet esse bene.

E tale medesima usanza noi ritroviamo presso gli
antichi egiziani, i quali, al dir di Erodoto (2), costuma-
vano nei conviti far girare una cassa contenente l'im-
magine in legno di un morto, della lunghezza di uno
o due cubiti, ritratta con grandissima perfezione, men-
tre colui che la portava, mostrandola in giro ai con-
vitati, diceva loro che la guardassero e quindi bevessero
e stessero allegramente, perocché dopo morte in quella
guisa sarebbero divenuti (3).

La qual cosa a noi viene attestata, non pure da vari
passi di autori, ma da monumenti di ogni sorta (4). Mi

(1) Satyr. XXXIV.

(2) Lib. II, 78.

(3) Eg xovxov oqÉwv itivi re xai téqtisV haera yitQ ànotluvuìv
roioviog. Ibidem, lib. II, 78. mandvca vibe lvde, C. I. L. VI,
142. Plauto nel Miles Gloriosus, atto III se. I, fa dire al vec-
chio Periplectomene : Es, bile, animo obsequere mecum atque
onera te hilaritudine.

evfpQttive aavxòv, tiTve, tùv x«y i]{Àé(>uv
piov koylZov aòv, ree J1' iiìXa tfjg Tv%t]g.

Euripide, Alceste, v. 788.

tv q_vi legis bona
vita vive sodalis
qvare post obitvm
nec risvs nec lvsvs
nec vlla volvptas

erit..... G. I. L., IX, 3473.

amici qvi legitis moneo miscete lyaevm
et potate procvl redimiti tempora flore

CETERA POST OBITVM TERRA CONSVMIT ET IGNIS.

C. I. L., VI, 17985a .

VIVE DVM VIVIS NEC Q_yiDQVAM DENEGAVERIS
ANIMO INDVLGERE QVEM COMMODAVIT DEVS.

Ibidem, VI, 30103 ; Bull. delVInst. 1861, p. 37 ; Buecheler, Antk.
Latina, 190.

(*) Su di un'antica gemma in cui è intagliato uno scheletro
che ha daccanto una farfalla e una bulla, la prima simboleggiante
l'anima, la seconda la fralezza della vita umana, ed insieme una
corona ed un vaso serventi all'allegria dei banchetti, si legge:
xxm, xqù, cioè possiedi e tisane; il che potrebbe tradursi: prò-
 
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