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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 9.1899

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Patroni, Giovanni: Caverna naturale con avanzi preistorici: in provincia di Salerno
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https://doi.org/10.11588/diglit.9137#0313

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609

IN PROVINCIA

DI SALERNO

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gliore conoscenza del materiale dell' Italia meridionale
e una considerazione più posata rialzerebbe di molto
anche per la scuola « prudente ».

La suppellettile della caverna di Pertosa rappre-
senta senza dubbio un momento più antico che il vil-
laggio siculo di Matera : la persistenza della ceramica
di tipo neolitico vi è ancora molto più vivace: la
decadenza delle forme inventate dai figuli, che cedono
il posto alle superfìcie lisce e alle sagome angolose
imitate dal metallo è ancora molto meno inoltrata a
Pertosa che a Matera. Oggetti d'adornamento orien-
tali mancano del tutto, se non son tali le « fusaiole »
di corno cervino in cui le incisioni circolari sono ti-
rate a perfezione, parrebbe proprio con 1' aiuto di una
ruota o di un compasso. Non si possiede altro stru-
mento di bronzo che la piccola accetta, la quale serve
tanto alla lavorazione assai rozza del legno quanto a
spaccare le ossa degli animali per estrarne il midollo.
Io credo perciò che anche una cronologia « prudente »
non temerebbe qui di oltrepassare il 1500 avanti la
nostra èra. In quanto a me, non solo sono sempre più
convinto della necessità di rialzare le date, ma credo
che la durata delle tappe della civiltà aumenti sempre
quanto più si risale, per divenire all' origine incom-
mensurabile in cifre e date storiche. E collocherei il
materiale di Pertosa all' incirca fra il 2000 e il 1750.

La divergenza massima nelle opinioni e negli ap-
prezzamenti si avrà senza dubbio nei tentativi di so-
luzione del problema etnografico, riguardo al quale è
oggi assai difficile trovarsi d'accordo. Ognuno ha i suoi
criteri e non ha fede che in quelli; credo che una
delle ragioni di questo fenomeno sia la unilateralità
del punto di vista di ciascuno, che ora è la tradizione
scritta variamente interpretata, ora i risultati della
filologia comparata, ora il materiale, ora i dati an-
tropologici, quasi mai una veduta comprensiva che
tenga conto di tutti i risultati delle varie scienze e
cerchi conciliarli.

Per ora non saprei prevedere che una sola ipotesi
differente da quella alla quale io inclino; ma non du-
bito che altre opinioni saranno emesse, forse diverse
dall' una dall' altra.

L'ipotesi di cui parlo potrebbe provenire da quei
paletnologi che seguono la teoria prediletta del prof.
Pigorini, di una discesa che avrebbero fatta i terra-
maricoli della valle padana nell' Italia meridionale,
Monumenti antichi — Vou IX.

valicando l'Appennino nei giorni in cui comparve la
fibula ad arco di violino. Secondo questa opinione la
mia scoperta dovrebbe esser messa in rapporto con
quella migrazione, e quindi il fatto principale delle
antichità preistoriche di Pertosa dovrebbe esser co-
stituito dalla palafitta. Una conferma a tale opinione
potrebbe vedersi nella scoperta di una stazione prei-
storica in Taranto, alla cui esplorazione attende ora
il eh. dott. Quintino Quagliati, vice-ispettore nell'Am-
ministrazione delle antichità e reggente la direzione
di quel Museo Nazionale. Questa stazione ha dato la
fibula ad arco di violino, l'ansa cornuta e il rasoio
di bronzo a doppio taglio, e presenta anche una pa-
lafitta; per le quali ragioni chi ne riferì in qualche
giornale di Roma (') vide in essa una vera terramara
e gli parve che essa indicasse come i terramaricoli
rapidamente si sparsero verso il sud.

Ma se la palafitta di Pertosa fosse opera dei ter-
ramaricoli, la grotta non potrebbe essere una stazione
nè aver servito di ricovero, secondo le idee della me-
desima scuola paletnologia, che pone tra i caverni-
coli e i terramaricoli italiani la più netta separazione.
E certo ognuno vede che una stazione nel senso di
terramara, chiusa in una caverna, non ha ragione di
essere. Si potrebbe però voler porre in relazione la
frequenza dell' uomo preistorico nella grotta col culto
odierno di S. Michele e col culto precedente da me
osservato per l'età romana e greca, ed opinare che
questo concetto vada esteso all' età anteriore ed appli-
cato anche al tempo in cui fu costrutta la palafitta.
Un antro che sembrava generare un corso d' acqua
ottima a bere e per giunta copiosa di squisite an-
guille, poteva nella immaginazione di popoli primitivi
assumere facilmente carattere sacro, e perciò sarebbe
stato occupato dai palafitticoli a scopo di culto, tenen-
dovi spesso lauti banchetti. A tale spiegazione può
sembrare che offra una conferma il rinvenimento dei

(') La Tribuna, del giorno 18 luglio 1899, cfr. Bull, di
paletn. it., 1899, p. 202, 316. Ora che io rivedo le stampe, il
Pigorini stesso propugna l'identità della stazione preistorica di
Taranto, che egli chiama terramara, con le terremare emiliane
(Bull, di paletn. it., 1900, p. 12 sgg.)- Dal canto mio ho vi-
sitato e studiato la stazione e il materiale di Taranto dopo
avere scritte queste pagine, e mi sono confermato nelle mie
opinioni, affatto diverse da quelle del prof. Pigorini, e che mi
riserbo di esporre quando avremo la relazione del dott. Qua-
gliati.

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