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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 11.1901

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Pinza, Giovanni: Monumenti primitivi della Sardegna
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https://doi.org/10.11588/diglit.9304#0125

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237

DELLA

SARDEGNA

238

costruzione dei nuraghi, fiorisse in Sardegna paral-
lelamente al secondo periodo siculo.

Se si seguono alcune classificazioni cronologiche,
oggi generalmente accettate; bisogna ritenere che le
grandi costruzioni in pietra nel bacino occidentale del
mediterraneo, decadessero, temporaneamente almeno,
quando cominciò a diffondersi il rito di cremare i
cadaveri. Ora delle tombe a cremazione, forse del pe-
riodo d'arte orientale, si rinvennero negli scavi in-
torno al nuraghe Losa, ove sembravano associate ai
posteriori lavori di adattamento. Per le ragioni che
abbiamo esposto i risultati ottenuti in tali scavi non
sono definitivi, ma se lo fossero e se fosse ugualmente
certo che questi sepolcri sono coevi a quelli simili
di Bencarron in Spagna, se ne dovrebbe dedurre la
loro seriorità al nuraghe Losa, che non potrebbe
essere contraddetta nè dai bronzi di Abini, nè da
quelli di Valenza, avendo già dimostrato che alcuni
almeno di questi furono raccolti da monumenti diversi.

Peraltro, siccome nulla vi ha di sicuro riguardo
alla posizione cronologica relativa dei sepolcri e delle
fortificazioni alle quali accenno ; possiamo liberamente
esaminare l'ipotesi se i nuraghi si erigessero ancora
in un'età parallela al terzo periodo siculo o a quello
d'arte orientale del bacino del Tirreno, al quale
risalgono ad esempio alcune fibule ed una gran parte
almeno degli oggetti raccolti nel ripostiglio di Va-
lenza. Ora tale ipotesi è confermata dalla maggiore
perfezione che si nota, non solo nella struttura archi-
tettonica dei nuraghi in confronto con quella propria
dei monumenti dell' età micenea nell'Oriente del me-
diterraneo, e perfino con quelli del periodo d'arte
orientale della vicina Etruria ; ma anche dal maggior
progresso artistico che rivelano le figurine sarde se
si pongono a raffronto con quelle etnische del periodo
d'arte orientale, cosicché 1' esame dell' architettura e
del materiale che vi si associa, rende probabile l'ipo-
tesi che queste costruzioni sarde si continuassero ancora
ad erigere nell' isola quando nel mediterraneo occiden-
tale già altre influenze orientali avevano sostituito
quelle decadute del periodo miceneo.

Una sì lunga continuità di sviluppo nella costru-
zione dei nuraghi non può del resto meravigliare;
poiché si nota nell' architettura sepolcrale sicula dal
primo al terzo periodo, durante i quali le tombe si
ricavarono colle stesse tecniche e colle medesime di-

sposizioni, benché di diversa grandezza e con alcune
varietà nuove. In Sardegna poi le speciali condizioni
geografiche dell' isola dovettero favorire la conserva-
zione dei tipi architettonici propri del periodo eneo-
litico; come nella produzione metallurgica e vasco-
lare avevano favorito la persistenza di tipi antichissimi
altrove scomparsi coli' età del bronzo, e restati quivi
in uso sino a giorni assai tardi.

Del resto la sopravvivenza della maggior parte
degli elementi architettonici delle ultime età litiche
nel periodo d'arte orientale, non si osserva soltanto
in Sardegna; avremo infatti occasione di dimostrare
in apposito lavoro che la maggior parte delle costru-
zioni di carattere sepolcrale o publico che si eressero
nell' Etruria e nel Lazio sino alla prima introduzione
dei vasi attici e corinzi, derivano direttamente o si
collegano strettamente a prototipi diffusi qua e là nel
mediterraneo già nell' età del rame.

Resta ora da definire lo scopo pel quale si eressero
queste costruzioni sarde. Anteriormente al lavoro del
Lamarmora molto già si era scritto su tale que-
stione ('), ma i pareri erano diversi e, per mancanza
di cognizioni archeologiche, privi di serio fondamento.
Lo Spano cita ad esempio una cronaca di un tal
Decastro scritta nel secolo XV, nella quale si legge
aver servito i nuraghi di sepoltura agli Egiziani e
quindi come tempi al Sole, come vedette e fortezze.

Nella prima metà del secolo XVII, il padre
Pintus in un suo curioso zibaldone, riprodusse la
prima parte delle ipotesi del Decastro, aggiungendovi
per suo conto aver essi servito di tomba ai Traci
oltre che agli Egiziani ; verso la fine del secolo XVIII
il padre Madau scrisse ancor esso sui nuraghi e li
giudicò « opera e fattura dei secoli post diluviani sotto
il governo di Norace, onde ebbero 1' appellazione, per
indi servirsi di queste moli come di grandiosi edifizì
sepolcrali da tumulare in essi i suoi ed i più bene-
meriti allievi della Sardegna » (2).

(') Le opinioni di questi scrittori sono largamente rias-
sunte dal Lamarmora, Voyage, II, p. 117 e seg. e quindi più
succintamente dallo Spano, Bull. arch. sardo, 18G2, p. 162 e seg.

(2) Madao, Dissertazioni storico critiche apologetiche delle
sarde antichità, p. 19. L'idea di attribuire i nuraghi a No-
race non è peraltro sua, ma risale al Fara che la sostenne
colla somiglianza dei nomi.
 
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