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95

IL VASO DI HAGHIA TRIADA

96

twv, ol /J,tv Tvoioi dia irjv inCvoiav %G.v òqyavo-
noiwv noXXà nqòg reix°tlaXl0CV £ÌX0V §0Ì]^h'jfiara.
%aXxevGÙfisvoL yàq svfisyiOsig TOiódovrccg naqrtfxiG-
Tgcofiòvovg, xovxoig t'ivnrov ex %siq'og xovg ini iwc
nvqyutv xaOea ròìvag, i(.imqyvvfiivcav óè sig rag «ff-
nióag tovrcov, xai xàXovg iypvxwv nqoddedeiiévovQ,
sìXxov nqòg iavzovg iniXa/x^avó/XSVOl tòìv xàXon'.
àvayxatov ovv fjv ì) nqmsO-O-ai rà onXa xai yvfivov-
/xivovg xa <Jo)f.iuv(c xccianTQmo'xso0ai noXXmv (psqo-
[tévav jisXùìv, ì) TTjQovvrag ree onXa óià trjv aÌGyy-
vrjv mnrsiv ày' vipijXwv nvqymv xai TsXevràv. 'àXXoi
ó" àXievTixà ólxrva toìg ini twv imftaOqwv Siccfia-
XOfiivoig iniQQimoviTeg, xai làg %eTqag àxQì'jffrovg
noiovvrtg, xaxidnwv xai ntqiexvXiov ano rTjg im-
§ài)-qag ini rrjv yrjv ('). E poco più oltre (aggiungo
anche questo, perchè ci servirà appresso) egli racconta :
a[ia àè xai nvq insqqlniovv . . . , xai xaìg /.lèv
óqsnaryyióqoig xsqalaig rag twv xqiwv óqjj,r]Tì]q(ag
vnoii/xvovcsg axqtjGTOv ti]v twv òqyàvwv filar
inoCovv, . . . roìg óè xóqa^i xai %atg Ouh^àìg xeqGiv
àvrjqna^ov rovg roìg xtwqaxt'oig iyeo'TwTag (-).

Qui adunque vediamo tridenti e reti adoperate,
invero con molta efficacia, come mezzi di difesa in
un caso di assedio; nè sono essi, come pensò il Wie-
seler (3), mezzi eccezionali, propri di pescatori ed
adattati per la circostanza, ma mezzi usitati non
meno di altri strumenti, qui sopra riportati, e di tutti
gli altri numerosi arnesi ed espedienti messi in opera
dagli assediati ed enumerati da Diodoro. A quella sua
opinione non panni possa trovarsi alcun serio appoggio
nella lunga narrazione Diodorea (4) ; ma quando anche
lo storico avesse pensato ugualmente, egli sarebbe
contradetto da ciò, che Livio ci narra aver fatto in
simile caso i connazionali dei Fenici, cioè i Carta-
ginesi, e che non è sfuggito alla diligenza del Wie-
seler stesso. Scrive infatti Livio a proposito dell'as-

(») Diodor. Sic, Bill, hist., XVII, 43.
(*) Ibid., 44.

(3) L. e., p. 9.

(4) Il cap. 43 comincia, è vero, cosi : ol <?è Tvqioi clfoelg,
e%ovTEg rs/tirag xai [xrj%avonoiovg, xcaeaxsvuaav opilórs^va
^ot]9rjfiara, ma chi volesse dire che si tratta di uno strumento
pescatorio adoperato come eccezionale mezzo di difesa, dovrebbe
ammettere che anche tutti gli altri §orjS-rjfxara enumerati in-
sieme fossero per la prima volta inventati ed applicati da essi ;
ciò che non è. Il senso è che essi trassero partito, per la circo-
stanza, da tutte le risorse suggerite dall'arte loro.

sedio messo da L- Scipione ad Oringis, città della
Spagna : « Prima pars quum adorta oppugnare esset
atrox sane et anceps proelium fuit; non subire, non
scalas fero ad muros prae incidentibus telis facile
erat; etiam qui erexerant ad murum scalas, alii furcis
ad id ipsum factis detrudebantur, in alios lupi su-
perne ferrei iniecti, ut in periculo essent ne suspensi
in murum extraherentur »('). Ecco adunque che i Car-
taginesi adoperavano contro i Romani strumenti ana-
loghi a quelli usati dai loro fratelli contro i Mace-
doni; come i raffi (lupi o xóqaxsg) per accalappiare,
così pure le forche, non importa se a due o tre denti,
vediamo messe in opera in ambedue i casi; il che
significa, che le forche o i tridenti erano tra i mezzi co-
muni di difesa dei Fenici in tempo di assedio. Una
sola leggiera differenza si può notare, e cioè che nel
primo caso si dice espressamente essere i tridenti
muniti di ganci (naqìjyxiGtqw^svoi), in modo che una
volta conficcati negli scudi dei nemici venivano riti-
rati allo scopo di strappare quelli a questi, non solo
facendo uso della loro asta, ma anche di corde legate
ai medesimi, come si fa colle fiocine nella pesca di
pesci grossi ; e forse in ciò è da riconoscere Yim'voia
dei pescatori Tirii (2). Nel secondo caso invece questo
genere di armi servivano piuttosto ad allontanare e
fare precipitare gli assedianti dalle scale appoggiate
alle mura. A tale uso ripulsivo delle medesime è cer-
tamente ispirata tanto la metafora Aristofanesca della
cacciata della Pace da Atene (3), quanto l'immagine
di Catullo, che uno stolido poetastro fa ruzzolare giù
dal monte delle Muse a colpi di forcine (4), e ad esso

(■) Liv., Ilist., XXVIII, 3.

(2) Non sono questi tridenti da immaginare colle punte
incurvate, da confondersi cioè cogli harpagones {oiòrjQuì /et^sc)
che Diodoro, come s'ò visto, ricorda a parte. Cfr. Curt. Ruf,
che evidentemente dipende dalla medesima fonte, IV, 2, 12:
u ferreae quoque manus — harpagonas vocant — quas operibus
hostium inicerent, corvique et alia tuendis urbibus excogitata
praeparabantur » ; cfr. anche ibid., 3, 26.

(3) Aristoph. Pax, 638 : rrjvós fxèv àixgotg éaj»orv rtjv !>eòv
xexQciy/xaai. Cfr. il passo relativo di Suida che spiega « dixooig,
dicpvéot, IvXoig, óixQavioig », che in questo caso sono le grida dei
retori {xsxQàyuuai). Si ricordi pure Lucian. Timori, 12: xai
fxoi'ovov/ì ólxqcÌvoic, èZew&ei tue tìjg oìxiug.

C) Catull., 105: >H____conatur Pipleum scandere mon-

tem: — Musae furcillis praecipitem eiciunt ». Cfr. Cic. ep.
ad Att. XVI, 2, 4 : « sed quoniam furcilla extrudimur, Brun-
disium cogito». Cesare, beli. civ. II, 3, accenna ad un'altro uso
delle furcae in guerra, servendosene gli assedianti per rimuo-
vere le cose precipitate giù dagli assediati. V. anche p. 102, n. 3.
 
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