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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 13.1903

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Morpurgo, Lucia: Nemus aricinum
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https://doi.org/10.11588/diglit.9310#0184

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851

N KM OS ARIC1NU.M

3Ó2

assai lontano dal nemus d'Aricia. Mi contonto di no-
tare il fatto, e di rilevare che quanto ci è noto di
Diana Aricina mostra in lei la dea buona e sollecita
del bene dell'umanità, la dea sospita per eccellenza,
quale Diana è nota dalla letteratura, e in special
modo dalla poesia latina (!), e che nel suo culto non
appare nnll'altro di notevole che una qualche affinità
con quello di Vesta. E questo non spiega affatto il
modo in cui Diana Aricina è presentata dalla tradi-
zione.

Secondo gli scrittori, essa è una divinità crudele,
e non le si trova riscontro se non nell'Artemide Tau-
rica, o Scitica (2), a cui s'offrivano sacrifici umani:
perciò il suo culto si credeva importato dalla Tauride
da Oreste, dopo ucciso il re Toante. Secondo una tra-
dizione, Oreste stesso avrebbe importato il culto e il
simulacro della dea ad Aricia (3), e che questa tradi-
zione fu diffusa e profondamente radicata, mostra
l'opinione che le ceneri di Oreste fossero state un
tempo precisamente ad Aricia, opinione provata dalle
parole di Igino e di Servio, secondo i quali da Aricia
le ceneri sarebbero state trasportate a Koma (4).

Secondo un'altra tradizione, Oreste avrebbe impor-
tato il culto della Tauropolos non ad Aricia, ma presso
Siracusa : di là lo avrebbe preso Aricia (5). È evi-

(!) Mi limiterò a citare il Carmen saeculare d'Orazio, e
l'ode di Catullo a Diana {carm. XXXIV).

(2) Lucano, III, 86: « ... qua sublime nemus, Scythicae qua
regna Dianae »; Ovidio, Metani. XIV, 331-332: « Quaeque colunt
Scythicae Regnum nemorale Dianae »; Valerio Fiacco, Argon. II,
301-302 :« Taurorumque lucos, delubraque saeva Dianae, Adve-
nit»; Silio Italico, IV, 367: « immite nemus - Vili, 362, immitis
Aricia». Non sono d'accordo col Birt [Roschers mythologisches
Lexicon, I, p. 1004 (Diana)] che con questa trista fama di
Diana Aricina sia in contrasto la « placabilis ara Dianae » di
Virgilio (Aen., VII, 764) : se era « placabilis » vuol dire che
talvolta doveva essere «placata».

(3) C. Iulii Solini, Collectanea, II, 11 : « ... Ariciam ab Ar-
chiloco... Hoc in loco Orestes oraculo monitus simulacrum Scy-
thicae Dianae, quod de l'aurica extulerat, priusquam Argos pe-
teret consecravit »; Serv. ad Verg. Aen. VI, 136 : « Orestes, post
occisum regem Thoantem in regione Taurica... fugit; et Dianae
simulacrum inde sublatnm, haud longe ab Aricia collocavit.
Con le stesse parole è poi riferito da Servio (Ad Verg. Aen.
II, 116) e da Igino (fab. CCLXI) : « occiso Thoante simulacrum
sustulit... et Ariciam detulit ».

(4j Hygin. fabula CCLXI. Servius ad V. Aen. II, 116,
usano ancora le stesse parole : « Orestis vero ossa Aricia Ro-
mani translata sunt et condita ante templum Saturni, quod est
ante clivum Capitolinum iuxta Concordiae templum ».

(5) Probus ad Verg. eclog. proem. « ... Orestes... din vexatus
cum Tauricae Iphigeniam reperisset, venit ad fìnes Rheginorum,

dente che tali leggende sono sorte per spiegare la
somiglianza che si vedeva, o si credeva di vedere, tra
Diana Aricina e Artemide Taurica. E la somiglianza
è in questo, che così all'una come all'altra, secondo
gli antichi, erano offerte in sacrificio vittime umane (!).

Ora io credo che nessun sacrificio umano fosse
offerto a Diana. Infatti, quali sono, secondo gli antichi,
queste vittime?

Secondo la tradizione, nel nemus Aricinum rive-
stiva l'ufficio di sacerdote di Diana uno strano perso-
naggio che, secondo Svetonio, aveva il nome di rex
Nemorensis (2). Andava fuggendo per il bosco, coll'arma
in pugno, temendo sempre d'essere assalito, poiché
vigeva questo costume: chi aspirava a succedere al
rex Nemorensis del tempo, doveva misurarsi con lui
in duello : il vincitore era rex Nemorensis (3). Nessun

ibique invento flumine elutus traiecit in Siciliani et iuxta Sy-
racusas somnio admonitus simulacrum deae, quod secum de
Taurica advexerat, tempio posito consecravit ». Secondo Probo,
non solo Varrone {Humanarum, XI), ma già Catone (Origi-
nimi, III) localizzava la leggenda di Oreste e Ifigenia presso
Reggio con queste parole: «... Septimus (fluvius) finem Rhe-
ginorum atque Taurinum dispertit... Ko Orestem cum Iphigenia
atque Pylade dicunt maternam necem expiatum venisse...». Se-
condo un'altra tradizione, conservata a noi da Pausania, Ippo-
lito, ossia Virbio (v. p. 357 e seg.) avrebbe importato ad Aricia il
culto d'Artemide (II, 27, 4) ... Ippolito... ès 'ira'Auiy eQ/exca
rtctQcc tovs ÀQixisìg, xcà i^aaiXsvaé re avxófìt, xcà avrjxe rj) *Aq-
ts/MÓi xéuevog, erd-a c</Qi èfj.ov fÀOfoiiu^iug àft-Aav rjv (epào9cu
rfi 9eù> toV vixmvxcc.

(') Per quel che si riferisce ad Artemide Taurica, identi-
ficata solo tardi con la Tauropolos, da cui era in origine dis-
giunta, v. Schreiber in Roschers mythologisches Lexicon, I,
p. 566 (Artemis).

(*) Caligola, 35. Il rex è menzionato anche da Stat. Silv.
Ili, 1, 55, e da Valerio Fiacco: Argon. II. v. 30"): sono fre-
quenti poi nei poeti le menzioni del regnum o dei regna.

(3) Strabone, V, 3, 12. ... « xijg &AQi/.ivr\g xò leoòv Xiyorow
(((fiÓQvfià ri xijg TccvQonólov 1 xcà yccQ il ^ciQjic(Qixòt' XQCtteì
xcà ZxvSixòv nsol xò tepoV sS-og ' xud-iaxaxai y«Q IsQSvg o ye-
vrjd-ùg civxó^siq xoù leQWfiévov ngótiqov cTqanéxrjg clvrjQ' htyxiQys
ovv èaxif cesi, ■niQiGxontHiv rcìg èm9-rjang, sioiixog «uvreoftca ».
Ne parlano Ovidio : Ars Amat. I, 259-260 : « Suburbanae templum
nemorale Dianae, Partaque per gladios regna nocente manu »
Fast. Ili, 271-272 : « Regna tenent fortes manibus, pedibusque fu-
gaces, Et perit esemplo postmodo quisque suo »; Va'. Flacc. A r-
gonauticon, 11,305: « Soli non mitis Aricia regi». Stat. Silv. Ili,
1, 55-56: « profugis cum regibus .. Aricinum Triviae Nemus»;
Lucan. Ili, 86: « qua sublime nemus, Scythicae qua regna
Dianae» Servius ad V. Aen. VI, 136: « ... nani fugitivus illic
erat sacerdos... ». Pausania (II, 27, 4) dice che rivestivano questo
ufficio degli schiavi fuggitivi ... « iiofouctxlctg «&\ov rjv t£-
Qào&ia xfj &6iò ròv vixùvxa. O de ccycòf iXsvS-égwv tuè)' ngosxsixo
ovdei'i, oìxsxctig dè ùnodciùai xovg deanoxccg ».
 
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