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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 14.1904 (1905)

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Patroni, Giovanni: Nora: colonia fenicia in Sardegna
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https://doi.org/10.11588/diglit.9311#0132

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NORA. COLONIA FENICIA IN SARDEGNA

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più genuinamente ci rappresenta il primitivo pensiero
religioso della stirpe. Negli oggetti d'uso comune, ai
tre stadi della coscienza accennati di sopra si è so-
vrapposto un quarto che non è più evoluzione, ma
imprestito pre^o dall'Egitto con procedimenti quasi
altrettanto meccanici quanto quelli delle arti indu-
striali da cui quegli oggetti sono prodotti ; imprestito
che preannunzia gli altri debiti che l'arte fenicia con-
trarrà poi verso la greca. Dopo aver attraversato,
come tutti i popoli orientali, il primitivo periodo della
religione betilica, e poi i due successivi periodi di
quella antropomorfa, lo chtonio e l'uranio, il terre-
stre e il sidereo, lo spirito mercantile e industriale
dei Fenici si cristallizza, mentre lo spirito greco, do-
tato di altissime facoltà speculative ed estetiche, si
nutre del pensiero religioso precedente trasformando
ed elaborando, e crea una mitologia ed un'arte me-
ravigliose.

Ma nelle stele di Nora non troviamo nulla di quel
pantheon egizio a buon mercato che fornisce in tanta
abbondanza la piccola industria fenicia. Non divinità
egizio mostruose e miste di forme animali ed umane,
non Bes, non Ptah embrione, non stingi, non gatti,
non sparvieri : se egizie sono le forme, come nel pe-
riodo arcaico dell'arte fenicia, non è punto egizio lo
spirito. La religione delle stele non conosce altro se
non la Grande Madre dell'Asia Minore, la Dea Syria,
2vqi't] &eóg, come la chiama lo pseudo-Luciano, e
quale era nata e cresciuta su quel suolo vetusto dal-
l'evoluzione religiosa preellenica e prefenicia ('). E

però questa serie di monumenti figurati che ci siamo
sforzati d'illustrare sembra a noi un documento sto-
rico di primo ordine per la conoscenza della più an-
tica religione fenicia.

(') Oserei dire che i concetti religiosi delle stele di Nora
sono, ancor più che non siano in generale i monumenti della
Fenicia propria a noi giunti, strettamente dipendenti dalla re-
ligione primitiva degli antichissimi Cananei che occuparono le
spiagge siriache e della quale, in ambiente storico fenicio, si
conservano più vivaci tracce soltanto nel culto della Balaat di
Gebal, mentre le altro città riconoscono come dio principale
un Baal. Le reminiscenze e derivazioni da questi antichissimi
concetti nell'arte tarda ci appariscono più chiare se le inter-
pretiamo secondo le idee religiose che risultano dal nostro
itudio sulle stele di Nora. Ad esempio, la più recente inter-
pretazione del rilievo di Ascalona (Longpérier, Musée Napo-
lèon IH, tav. XXXII = Perrot et Chipiez, Ilist de l'Art, III,
p. 441, fig. 314) che vi riconosce Atargatis-Derketo avente ai
lati due donne che piangono per il fallo di lei (Pietschmann,
op. cit., p. 292 sg.) è senz'altro da rifiutare anche avuto riguardo
al motivo artistico che, come negl'idoli d'Astarte derivati dalla
Nanai babilonese, accenna alla facoltà generativa della dea
con sentimento senza dubbio di venerazione, non di orrore o
dispregio; è preferibile la vecchia interpretazione che pensa ad

una triade divina, simbolo della luna tripartita, tanto più che
le due figure secondarie non sembrano portare una mano alla
chioma se non per lisciarsela. Ma possiamo fare un passo di
più: al contrario della dea principale, le due figure laterali non
hanno ornati nò vesti convenienti a divinità madri, e, stando
tutte nude accoccolate al suolo, nascondono la loro natura:
sono dunque vergini, sono le due Korai della Bea Madre, forse
or ora nate e già grandi perchè divine. Si ha dunque nel-
l'i Oriente asiano la persistenza del concetto che nelle stele pu-
niche si afferma con figurazioni come quella della norense
n. 51 o della cartaginese di Abdeschmun ovvero con lo schema
dei tre pilastri-betili sorgenti da una stessa base. Kra già stato
visto che i tre pilastri rappresentano una sola divinità, ma non
è esatto che ne siano <; il contrassegno » (Pietschmann, op. cit..
p. 257, nota 1). Tre pilastri sono il simbolo completo della
divinità, ma essa può essere rappresentata da un solo ed anche
da due, cioè dalle due emanazioni od aspetti, del bene e del
male, che hanno tanta parte nelle religioni orientali (cfr. Plaut..
Mercator, IV, se. VI, v. 825 sg. : Diva Astarte hominum deo-
rumque vis, vita salus: rursus eadem quae est | pemieies,
mors, interitus; ove si ha probabilmente un concetto genuino
che risale, mediante l'originale greco di Filemone, almeno al
IV secolo). In tal caso l'essenza-madre della divinità, la figura
principale, è assente o rappresentata in ipostasi. I due pilastri
che sorreggono il padiglione della divinità in una stela di Ha-
drumetum, e nei quali i busti che ne costituiscono il capitello
sono stati da altri considerati soltanto quale motivo artistico,
sono invece anche e principalmente pilastri-betili delle due
Korai di Tanìt. In alcuni casi questa forma di rappresentanza,
cioè per mezzo delle due emanazioni, si era imposta come ca-
nonica, quasiché per somma venerazione non fosse lecito nep-
pure simboleggiare la più intima essenza divina creatrice : or-
dine d'idee che troviamo svolto al massimo grado presso gli
Ebrei, vicini e parenti dei Fenici (cfr. Exod. XX, 3-5). Così
il Melkart di Tiro si rappresentava per mezzo di due pilastri
(cfr. Herodot. II, 44).

Quanto abbiamo ricavato dallo studio delle stele figurate
di Nora può anche servire a risolvere parecchi altri dubbi. Si
era sospettato per esempio che il caduceo, ricorrente su molti
monumenti punici, fosse originariamente fenicio, e si era spie-
gato come una aschera o sacro albero (Perrot et Chipiez,
Flist. de l'Art, III, p. 463 ; Pietschmann, op. cit., p. 267) ; ma
essendo ora provato con tanti argomenti che le stele sarde rap-
presentano più genuinamente gli antichi concetti religiosi fenici
che non quelle dell'Africa punica, l'assenza del caduceo nelle
prime parla chiaramente in favore d<lla sua derivazione dal-
l'arte greca in epoca relativamente tarda e preludente alla
identificazione del Baal Hammon col Mercurius Augustus
(C. I. L. Vili, 51, 1000, 2226, 2643, 4674, 6044, 7962). La
stessa base della identificazione non regge, poiché il preteso
sacro albero che reggerebbe nella destra l'idolo betilo-antro-
poide di una stela di Cirta (Recueil des notices et mémoires
de la Società archéoloyique du département de Constantine,
XVIII, tav. V, 14 = Pietschmann op. cit., p. 268) non è punto
tale (poiché nulla sporge sotto il gomito, come avviene per i
caducei che sono portati dai simili idoli sulle strie compagne),
 
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