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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 15.1905

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Pinza, Giovanni: Monumenti primitivi di Roma e del Lazio Antico
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https://doi.org/10.11588/diglit.9312#0257

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Le tracce del colore, languidissime sul viso, sono ancora
assai appariscenti sui capelli, divisi sulla fronte in sei
treccioline dipinte in nero, e sulla stephane o diadema
che ne incornicia il capo. 11 diadema fu colorito di rosso
dopo che erano stati dipinti i capelli, poiché un po' di
color rosso si sovrappose per inavvertenza dell'artista
anche sul nero con cui i capelli stessi erano stati di-
pinti. Verso la fronte il diadema era ornato con larghe
pennellate di nero irradianti. Sull'occhio restano tracce
di color bruno tanto sulle palpebre quanto sui soprac-
cigli in specie verso la radice del naso.

Evidentemente questa è la estremità di un coppo
che doveva figurare a guisa di antefissa sulla cornice
di un tempio. Come mostra la riproduzione di profilo
(fig. 153 a) il diadema serve a mascherare la curva del
coppo stesso ; per cotesto carattere perciò, come pure
per quelli stilistici, cotesto rilievo deve porsi a raf-
fronto colle antefisse quasi identiche rinvenute a Conca
ed appartenute alla primitiva cella A), sacra alla dea
Matuta, di una delle quali si riproduce qui il profilo
(fig. 154) per mostrare come debba integrarsi il fram-
mento romano (').

Le antefisse ora citate di Conca erano in rela-
zione cronologica colla stipe più antica del tempio,
costituita da fibule ad arco rigonfio, a sanguisuga,
pieno o vuoto, munite o prive di sporgenze o bottoncini
laterali, con dei buccheri ed altro materiale caratte-
ristico del II periodo della età del ferro o della sua
fine, alla quale pertanto deve avvicinarsi, anche per
ragioni stilistiche 1' esemplare dell'Aracoeli in Roma.
Quest' ultimo si rinvenne, come lo prova il rapporto
relativo alla sua scoperta, nel terreno vergine alla no-
tevole profondità di sei metri, non si può quindi attri-
buire a scarichi ivi avvenuti e senza alcun dubbio spetta
ad un edificio sacro colà esistente.

Nel tempio di Conca le antefisse della cella più
antica si ritrovarono, come del resto era naturale, al
di fuori ma presso le pareti della cella stessa, co-
struite con conci di tufi squadrati (2), e la medesima
disposizione si notò dall' ispettore Buonfanti nell'orto
dell'Aracoeli, avvertendo egli che l'antefissa di cui
mi occupo era stata ritrovata « ai piedi di uno dei
muri in opera quadrata ivi rinvenuti ». È evidente quindi

(1) Not. scavi, 1896, p. 14, fig. 6 dell'estr.

(2) Not. scavi, 1896, p. 15 dell'estr.

che cotesti muri in opera quadrata dovettero far parto
di un edificio sacro, di cui cercheremo di determinare
in seguito con maggior precisione la destinazione.

Ho già ricordato che gli scavi eseguiti in via Na-
zionale nell'aprile 1880, ove attualmente è il villino
Hiiffer, si imbatterono nella stipe di un altro santuario.
Le notizie che possediamo su cotesto cumulo di offerte
si riducono ai pochi accenni che ne ha dato il Dressel ('),
1' unico che se ne sia interessato. Dalla classificazione
degli esemplari fittili da lui presentati in una adunanza
dell' Istituto archeologico germanico, dalle relative di-
scussioni cui dette luogo e dal concorde giudizio sulla
somiglianza dei fittili che facevano parte di cotesto
cumulo con quelli rinvenuti sotto la gradinata di
S, Maria della Vittoria, si arguisce che anche la stipe
rinvenuta nel villino Hiiffer comprendeva offerte accu-
mulate in un lunghissimo periodo di tempo, di cui
il limite cronologico più recente è dato dai vasi a
vernice nera di fabbrica etrusco-campana colà ritro-
vati, i quali dimostrano che ivi si accumulava ancora
della stipe nel secolo IV a. C, durante il quale per-
tanto è evidente che continuava in quel santuario l'eser-
cizio del culto. Ma questo elemento ci interessa rela-
tivamente poco, mentre di grande importanza è la
determinazione dell'altro limite cronologico, che ne-
cessariamente o corrisponde o è posteriore alla origine
della stipe stessa e quindi a quella del santuario di
cui faceva parte.

Nella prima notizia data sugli oggetti provenienti
da quella favissa il Dressel aveva lasciato in dubbio
la questione se ne facessero parte dei vasi della fa-
miglia allora detta « laziale », analoghi a quelli più
antichi ritrovati nelle tombe dell' Esquilino ; ma il De
Rossi, più perito in tal materia, osservando gli esem-
plari presentati dallo stesso Dressel in una adunanza
dell'Istituto di corrispondenza archeologica assicurò che
uno almeno di quei vasi spettava alla famiglia alla quale
ho alluso (2); era quindi cotesto uno di quei vasi in im-
pasto tufaceo ad ingubbiatura nera, simile a quelli così
comuni nelle tombe della prima età del ferro.

Altri due fittili di questa stessa età furono poi ac-
quistati ed illustrati dal Dressel, uno di questi è il

0) Bull. Inst., 1880, p. 137 e seg.; Ann. Inst., 1880, p. 160
e seg.

(z) Bull. Inst., 1880, p. 138.
 
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