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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 15.1905

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Pinza, Giovanni: Monumenti primitivi di Roma e del Lazio Antico
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https://doi.org/10.11588/diglit.9312#0266

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MONUMENTI PRIMITIVI DI ROMA E DEL LAZIO ANTICO

Le industrie locali.

/ fittili.

La ceramica rinvenuta nel Lazio antico, si può ri-
partire, rispetto alla provenienza, in due gruppi, quello
che comprende i fìttili di produzione locale e quello
cui spettano i prodotti di importazione. Di quest'ul-
timo dovrò occuparmi nel capitolo riguardante i com-
merci, qui debbo riassumere brevemente ciò che si sa
sui procedimenti seguiti nella fabbricazione dei fittili
di produzione locale.

Questi sono eseguiti in impasto grezzo o in argilla
più o meno depurata; i più rozzi sono plasmati a mano,
certo l'uso di una ruota o tornio sia pure rudimentale
è evidente soltanto in quelli di più accurato lavoro.
I primi furono semplicemente lisciati alla superfìcie,
cotti o disseccati i secondi e ricoperti quindi di una
ingubbiatura annerita a nero fumo, semplicemente
disseccata e quindi nera, o cotta ed in tal caso arros-
sata dall'azione del fuoco. Tecnicamente quindi il ma-
teriale fìttile fabbricato nel Lazio si può suddividere
in una serie di classi, di ciascuna delle quali esamino
qui appresso i caratteri tecnici più salienti.

I vasi grossolani a copertura nera. —
I vasi in argilla grezza a copertura nera sono i più
dozzinali, e furono plasmati con quello stesso tufo de-
composto ed argilloso, che forma il primo strato an-
tico del sottosuolo nell'Esquilino e nelle valli adian-
centi ed è naturalmente ricco di frammenti di rocce
magre, quali i quarzi, le leuciti ed altri minerali di tal
fatta, che giovarono mirabilmente a consolidare i vasi
e mantenerne intatta la forma durante il loro dissec-
camento ('). Studiato al microscopio questo impasto
apparisce ricco di materiali così diversi, da escludere
assolutamente che fosse lavato e decantato prima di
adoperarlo ; resta invece in dubbio se in alcuni casi,
specialmente nella fabbricazione dei grandi recipienti,
si aumentasse artificialmente la proporzione delle rocce
magre, per ottenere una maggiore resistenza alla de-
formazione.

(') Il Boni ha fatto a questo riguardo dei notevoli espe-
rimenti col tufo decomposto che costituisce il sottosuolo del-
l'Argileto, ottenendo dei prodotti del tutto analoghi a quelli
preistorici.

Con questo impasto i vasi furono plasmati spesso
semplicemente a mano, ma talora col soccorso del
tornio o di una ruota primitiva, le cui traccio più ap-
pariscenti sparvero, di solito, nelle operazioni suc-
cessive cui furono assoggettati i vasi medesimi per
lisciarne la superfìcie, cosicché non è sempre facile ac-
certarne l'uso; in alcuni esemplari però, in specie nella
superfìcie interna, la steccatura, più sommaria, non è
riuscita a far sparire le striature parallele dovute al-
l'uso della ruota, o di un altro strumento analogo. Altri
invece (') in cui le anse o !e bugne si sono staccate,
mostrano all'evidenza che queste parti sporgenti fu-
rono plasmate a parte e quindi inserite e fissate in
apposite cavità lasciate nel corpo del vaso medesimo.
Un tale procedimento si spiega in modo logico soltanto
ammettendo l'uso del tornio nella formazione delle
superaci curve dei vasi, sulle quali pertanto non sa-
rebbe stato possibile rilasciare delle sporgenze o dei
manichi.

Però il valore di una tale osservazione non è asso-
luto, poiché cotesto procedimento risale in Italia all'età
del rame e forse al neolitico, e fra le poche osservazioni
pubblicate sino ad ora su quelle antichissime cera-
miche, nessuna accenna all'uso di un tornio sia pure
rudimentale, che molti anzi sono inclinati ad escludere.

In uno dei fittili il cavo da cui si è distaccata
l'ansa presenta una superfìcie molto più grigia e quindi
meno cotta di quella esterna del vaso medesimo; in
tal caso pertanto è evidente che le parti riportate fu-
rono applicate dopo il disseccamento del vaso, ma prima
della cottura.

Talora i fittili non subirono una vera e propria
cottura, ma furono semplicemente disseccati e quindi
alludo ai prodotti meno rozzi di cotesta categoria, in-
gubbiati ; ma per la maggior parte furono esposti al
fuoco prima della ingubbiatura.

I vasi più rozzi non portano tracce di tale coper-
tura, furono plasmati a mano, lisciati a stecco e cotti
o disseccati.

L'esame delle fratture prova che la sorgente del
calore non agì su tutto il recipiente colla medesima
intensità; in alcuni punti infatti la zona grigia me-
diana, mal cotta, è più spessa in altri meno a van-

(') Cfr ad esempio il vaso della tomba IX descritto sotto
la lettera b.
 
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