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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 15.1905

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Pinza, Giovanni: Monumenti primitivi di Roma e del Lazio Antico
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https://doi.org/10.11588/diglit.9312#0267

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taggio o a detrimento delle zone esterne ben cotte ed
arrossate, la cui maggiore o minore profondità corri-
sponde in massima agli effetti di una quantità mag-
giore o minore di calorico assorbito; siccome poi
nell'istesso vaso la composizione dell'impasto non varia
sensibilmente, così è evidente che di regola la diversa
intensità degli effetti della cottura si deve attribuire
alla diversa distribuzione del calorico; e ciò esclude
che la cottura di cui parlo avvenisse in un forno
chiuso.

L'ultima operazione è la ingubbiatura dei vasi
disseccati o cotti. Il Barnabei ritenne che fosse es-
senzialmente costituita dalla applicazione di un velo
di cera o resina ('), mentre il colore nero sarebbe do-
vuto all'impasto al quale sarebbe stato mescolato del
carbone triturato o del nerofumo. Ma come lo provano
le fratture alle quali ho accennato, il vaso in seguito
alla cottura aveva spesso acquistato alla superficie un
colore rosso; se quest'ultima quindi apparisce oggi di
un colore nero, ciò si deve esclusivamente al fatto che
di questo colore era la sottile incamiciatura spalmata al
disopra. Suppose il Barnabei che questa fosse di cera o
resina sia per la lucentezza che conferiva al vaso, sia
per la necessità di ricoprirlo con una sostanza impermea-
bile che lo rendesse adatto a contenere dei liquidi,
ma quest'ultimo argomento non regge, anzitutto perchè
un rivestimento impermeabile, presso che inutile al-
l'esterno, sarebbe stato invece utile soltanto all'interno
dei vasi, ove invece l'ingubbiatura lucente di cui mi
occupo non si nota quasi mai, e poi quegli impasti
per la grande abbondanza di roccie magre che con-
tengono, sono di per se stessi sufficientemente imper-
meabili; infine la presenza della cera o resina è da
escludersi assolutamente, poiché avendo io fatto esporre
dei cocci ad ingubbiatura nera in una fornace da
mattoni, ho dovuto convincermi che questa cottura fa
perdere all'ingubbiatura il color nero, e gli fa acqui-
stare un bell'aspetto rosso, ma non le toglie affatto
la sua lucentezza, la quale pertanto non si può attri-
buire alle sostanze resinose sopra citate, che sotto
l'azione dell'intenso colore sviluppato nei forni da
mattoni sarebbero state completamente disorganizzate
e sarebbero quindi scomparse.

(l) Questa ipotesi era già stata proposta dall'Hostmann per
spiegare la fabbricazione dell'analoga ceramica nera d'Hissar-
lick. Cfr. Schliemann, Troja, p. 33.

L'ingubbiatura pertanto se nei vasi più rozzi potè
mancare, sostituita da una semplice lisciatura a stecco,
in quelli di più accurato lavoro è di argilla lavata e
fine, spalmata sul vaso e lisciata a stecca sino alla
voluta lucentezza, che in molti casi potè essere au-
mentata brunendo il vaso quando era completamente
disseccato. La finezza di questa incamiciatura esclude,
almeno in alcuni casi, la possibilità di attribuire il
suo colore nero a della polvere di carbone mescolata
all'argilla; è possibile invece che abbia acquistato
tale aspetto durante il disseccamento della ingubbia-
tura medesima in un ambiente chiuso e pieno di fumo
sviluppato da legna resinosa; procedimento cotesto
sufficiente a conferire ai vasi di argilla un bel co-
lore nero, come lo provano gli esperimenti del Klitsche
de la Grange, riguardo al bucchero etrusco della prima
età del ferro ('). Tale esperimento non dimostra però
l'assunto, poiché l'annerimento della superficie e la
lucentezza poterono ottenersi ugualmente sia spargendo
del nerofumo alla superficie e poi brunendola, sia an-
cora in altro modo; certo l'esperimento da me fatto
su cocci laziali dell'età del ferro, preceduto da altri
con identici risultati eseguiti su cocci analoghi ma
più antichi raccolti nelle terremare e ad Hissarlick,
dimostra che la tinta nera del vasellame è dovuta a
sostanze organiche carbonizzate (-).

L'incamiciatura alla quale alludo è sottilissima,
in alcuni punti poi sia originariamente nello spalmarla,
sia in seguito nel brunirla, o col continuo uso del
fittile, lo spessore diminuì così da lasciar trasparire
la superficie cotta o rossastra del vaso; in certi casi
per altro è certo che una esposizione consecutiva al
fuoco contribuì largamente a conferire alla ingubbia-
tura, originariamente nera, quelle tinte variabili che
oggi vi si osservano.

Dopo le tecniche delle forme, debbo dire qualche
cosa sulle tecniche degli ornati.

Sono questi eseguiti ad incavo o a rilievo ; e que-
st'ultimi di solito si plasmarono a parte e si applica-

(') Il Klitsche de la Grange con questo sistema è riuscito
addirittura a fabbricare dei buccheri: cfr. la sua Tecnologia
del vasellame vero degli antichi. Roma, 1884.

(2) Il Doulton avendo fatto cuocere alla fornace dei cocci
ad ingubbiatura nera ritrovati ad Hissarlick, divennero rossi :
cfr. Schliemann, Ilios, p. 219 ; Troja, p. 33 ; Schmidt in Dorp-
feld, Troja und Ilion, p. 245.
 
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