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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 15.1905

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Pinza, Giovanni: Monumenti primitivi di Roma e del Lazio Antico
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https://doi.org/10.11588/diglit.9312#0269

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525

MONUMENTI PRIMITIVI DI ROMA E DEL LAZIO ANTICO

526

Un fittile della tomba LXXXIX porta tracce dubbie
di una decorazione a borcbiette metalliche, applicate
alla superficie del vaso non ancora completamente dis-
seccato e ingubbiato di fresco; un altro oggi nel Museo
di Berlino, conserva addirittura coteste borcbiette (');
cosicché l'uso di materiali così decorati è quasi certo
in Roma come nel territorio Palisco, a Vilici ed al-
trove in Etruria (2).

Le tecniche delle quali mi sono occupato non sono
proprie del suolo romano; lo stesso processo di fabbri-
cazione e di decorazione si nota infatti in tutti i fìttili
dozzinali a copertura nera raccolti altrove nel bacino
del Tirreno o in quello dell'Adriatico ed è la mede-
sima tecnica ivi in uso nelle più antiche età del rame e
del bronzo. Ciononostante è certo che coteste tecniche
erano adottate anche dai figlili dal Lazio, poiché la
fabbricazione indigena dei prodotti di cui mi sono oc-
cupato è dimostrata nel modo più completo dalle ar-
gille locali adoperate nella loro fabbricazione

Poche forme sono proprie dei fittili fabbricati nelle
manifatture laziali; sembrano infatti una specialità
della ceramica laziale i cosiddetti calefattori, i quali
di solito consistono in olle piantate su di un piede
cavo o foculo, per lo più ornato a giorno, e che ap-
pena lontanamente si avvicinano per la loro forma
ai foculi di Pitigliano, i più simili del resto che sino
ad ora abbia restituito l'Etruria Si aggiungano

(') Jahrbw.h des ardi, lnstitut, 1888, p. 245.

(*) Noi. scavi, 1878, p. 80; 1885, pp. 106, 137, 147, 148;
Mon. Lincei, IV, p. 227 e seg.; Gsell, Fouilles, p. 262 e seg.;
per la bibliografìa completa vedi Mon. Lincei, voi. VII, p. 82
e seg.

(3) Il De Eossi aveva osservato cbe le argille con cui erano
stati plasmati i vasi dei colli albani contevano gli stessi mi-
nerali caratteristici dei tufi vulcanici di quei colli; le recenti
esperienze del Boni concordano con quelle più antiche ricerche,
mostrando che i vasi rozzi dell'Argileto furono o almeno pote-
rono plasmarsi coi tufi in decomposizione abbondanti in quella
località.

(<) Bull, paletn. Hai, 1902, p. 127 e seg., figg. 1-3. Per
ciò che riguarda l'origine di cotesto tipo nell'abbozzo di questo
lavoro pubblicato nel Bull, comunale del 1898, io sono stato
tratto in inganno dai cubi di peperino sul quale poggiavano
nel Museo alcuni vasi delle sepolture di Via Giovanni Lanza,
cubi che io ritenevo per ciò antichi, ma che invece sono stati
eseguiti recentemente per sostenere i vasi medesimi, servendosi
a tale scopo di materiale antico. Ciò non deve attribuirsi ad un
tentativo di falsare i dati di scavo, che anzi le notizie di scavo
riferendo che alcuni oggetti di questo o quel corredo erano stati
ritrovati sopra dei blocchi di cappellaccio, non si vollero esporre
questi ultimi nel Museo sia per la loro rozzezza, sia ancora perchè

ancora i vasi ovoidali a rete, di cui si conoscono ap-
pena poche imitazioni al di là del Tevere ('); le tazze
ad ansa bifora terminante a sella od a cornetti, raris-
sime fuori del Lazio, comuni, anzi normali nelle se-
polture a sud del Tevere ; i vasetti otriformi ad appic-
cagnolo trasversale, di cui si hanno pochi esempì a Tolfa
e Bisenzio e molti invece nel Lazio ; infine se oggi non
si può più affermare ciò che una volta si riteneva, cioè
che le urne a capanna fossero una specialità della ce-
ramica laziale, resta sempre a provare la fabbricazione
locale della maggior parte almeno di quelle sino ad ora
quivi rinvenute, la singolarità delle linguette forate,
destinate al passaggio dell'asticella che trattiene a
posto il portello, rilevate su quest' ultimo e sugli sti-
piti, poiché questo sistema di chiusura non si osserva
mai nelle urne a capanna rinvenute fuori del Lazio.

Il bucchero indigeno. — I vasi di questa
classe sono plasmati con argilla non perfettamente
lavata e decantata, ma però non così grezza come
quella adoperata nelle manifatture cui spettano quelli
descritti antecedentemente. L'argilla è meno ricca di
sostanze eterogenee, le rocce magre o vi sono mesco-
late in quantità minore e finamente triturate, o man-
cano completamente; l'uso del tornio è più generaliz-
zato, ed ha lasciato tracce evidenti in quasi tutti i
fittili, le cui pareti generalmente sono sottili e leggere.
Formati e disseccati, furono esposti ad un fuoco lento
che ne completò il prosciugamento, e spesso fu suf-
ficiente a conferir loro una cottura di solito incompleta;
nella frattura infatti, malgrado la relativa sottigliezza
delle pareti, si nota la esistenza di una zona grigia
interna, arrossata soltanto alla superficie nei vasi
esposti più degli altri all'azione del fuoco, la quàle
pertanto non giunse mai a penetrare nell'interno della
massa sino ad ossidarla completamente.

L'uso del tornio rende del tutto probabile che le
parti accessorie e sporgenti, le anse per esempio e le
bugne, fossero formate a parte e ricongiunte poi al
vaso prima o dopo la cottura; ma di tale procedi-
mento non ho potuto avere alcuna prova diretta, in

sulla loro superfìcie i vasi stessi non avrebbero trovato la ne-
cessaria stabilità, e così si pensò di squadrare quei tufi ridu-
cendoli nella forma attuale per ragioni di utilità.

(') A Vetulonia, Volterra e Saturnia; ciascuno di cotesti
esemplari è però ben diverso da quelli così comuni nella ne-
cropoli romana.
 
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