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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 15.1905

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Pinza, Giovanni: Monumenti primitivi di Roma e del Lazio Antico
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https://doi.org/10.11588/diglit.9312#0392

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MONUMENTI PRIMITIVI DI ROMA E DEL LAZIO ANTICO

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posta in un momento posteriore a quello in cui era
ancora vivo l'antagonismo fra Collini e Montani,
quando cioè la vita cittadina intensa e sopratutto la
espansione della città nei nuovi quartieri racchiusi
dalla cinta « serviana », sfollando i vecchi e rimesco-
landone gli abitatori, aveva tolto ogni vivacità allo
spirito regionale, sostituendolo con quello cittadino.

Naturalmente la città del Septimonzio nuovamente
organizzata doveva avere la sua leggenda sulle proprie
origini, come l'avevano avute i Collini ed i Montani, e
prima ancora le coalizioni dei Tizi, dei Ramnes e dei
Luceres. La causa prima dell' antagonismo regionale
risiedeva appunto, come vedremo, nella pluralità dei
villaggi autonomi dalla cui fusione era sorta Roma;
avvenuta la fusione completa degli elementi cittadini,
la leggenda popolare che si trasformava continuamente
per spiegare lo stato di cose contemporaneo in confor-
mità di quello immediatamente antecedente, dovette
di necessità attribuire alla coscienza cittadina, sorta
dall'assopimento delle contese regionali, anche una
origine unica e ad una tale necessità, che certamente
si impose soltanto tardi, si ispira appunto la ver-
sione canonica ultima della leggenda sulle origini
di Roma da un solo centro primitivo ; e se l'antichità
maggiore fra gli abitati che vantavano di aver dato
origine alla città fu riconosciuta al Palatino, ciò è
in armonia col fatto che in quest'ultimo si erano ac-
centrati gli interessi di tutti i Montani, e che questi
erano in grande maggioranza nella città di fronte ai
Collini che occupavano uno solo dei quattro quartieri.

Pure questi ultimi avevano avuto una importanza
notevole nella storia cittadina ed in corrispondenza di
ciò la leggenda nuova gli accorda un posto notevolis-
simo assicurando che Tazio era sopravvenuto in Roma,
quasi al pari di Romolo; meno importanza di tutti
avevano i Luceres, già incorporati ai Ramnes nella
composizione dell'elemento montano, ed in quella della
posteriore leggenda cittadina le leggende del Celio
hanno una importanza corrispondente, assegnandosi al-
l'abitato in quella regione una antichità anche minore.

L'artificio con cui è composto cotesto amalgama
leggendario ne svela adunque l'età tardissima ed in
questa lo scopo piuttosto politico che storico, onde
non vale affatto a sostenere le idee del Richter ; meno
ancora a ciò serve il confronto con Ardea, poiché,
Ardea non è Roma ; e le origini come lo sviluppo po-

terono essere in realtà del tutto diverse nella capitale
dei Rutuli ed in quella dei Romani. Unico argomento
di un certo valore è quello della cerimonia di lustra-
zione dei Luperci, la quale ai tempi di Varrone si
compiva processionai mente intorno al Palatino (').

Questa cerimonia nella sua struttura fondamentale
ha un carattere di così alta antichità che la notizia
su esposta basterebbe da sola a sostenere la tesi del
Richter, se fosse certo che anche nei tempi più re-
moti essa anche nei dettagli di forma si compisse in
identiche condizioni ed avesse lo stesso significato di
lustrazione dell' intera città. Ma anche in questo caso
i risultati a cui giunsero il Richter ed i suoi seguaci
si ottennero esaminando in blocco le notizie relative
al culto dei Luperci, senza distinguerne le origini e la
essenza antichissime dai mutamenti di forma connessi
ai successivi riordinamenti resi necessari da questi
ultimi e dalle mutate condizioni dello spirito; e tale
errore di metodo, in cui il citato scrittore è incorso
anche nella questione relativa ai culti del Septimon-
tium, lo condusse poi di necessità così in questa come
in quella ad errare nelle conclusioni.

Anzitutto dal contesto varroniano apparisce quasi
evidente che 1' Oppidum è nient'altro che il Palatino
racchiuso da quelle sostruzioni o mura in opera qua-
drata di cui si conservano ancora parecchi avanzi (2)
e di cui lo stesso Richter riconosce l'età recente. Al
di fuori di queste mura doveva svolgersi la corsa dei
Luperci e siccome quel recinto, accenno alle tracce
di quello più antico, non è certo anteriore al quart'ul-
timo secolo della Repubblica o al secolo Va. C, po-
steriore almeno a questa data deve essere il riordina-
mento della cerimonia dei Lupercali vigente ai tempi
di Varrone. Altre tracce di tardi rimaneggiamenti si
riconoscono anche nel modo con cui era regolata l'as-
sociazione dei vari membri.

Tralasciando i Luperci giuliani, recentissimi, si sa
che gli altri erano per metà Quintiliani, per metà
Pabi Naturalmente questi nomi si ritenevano per

(*) Varrone, De lingua latina, VI, 34.

(2) Ann. Imi., 1871, p. 41; 1882, p. 324; 1884, p. 189 e
seg.; Lanciani, Guida del Palatino, p. 77 e seg.; Mon. Inst.,
XII, tav. Vili.

(3) Festo, Fabiani et Quincliliani appellabantur Luperci,
a Fabio et Quinctilio praepositis suis. E stata esposta la con-
gettura che la corsa dei Luperci avvenisse lungo il cosiddetto
 
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