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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 17.1906

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Orsi, Paolo: Gela: scave del 1900-1905
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https://doi.org/10.11588/diglit.12731#0016

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33

GELA

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gli altri monumenti, veggasi quanto ho potuto racco-
gliere al rispettivo capitolo.

Verso il 1230 « super ruinis deletae atque obrutao
urbis », come asserisce Guido dalle Colonne, Fede-
rico II fa costruire Terra Nova, la quale sorge e si
sviluppa a spese dell'antica Gela, i cui avanzi ancora
ai tempi del Fazello {De rebus siculis, deca I, lib. V,
c. II, p. 20) erano ritenuti dagli abitanti siccome
quelli di Eraclea, mentre il dotto monaco preferiva
attribuirli, con errore già manifesto, a Callipoli o ad
Euboia. La collisa e la campagna di Gela povere
ancora oggi di pietra, perchè di formazione scadente
e sabbiosa, non avendo potuto somministrare i copiosi
materiali necessari alla nuova Terra, venne smontato
quanto rimaneva di antico, ed ancora ai primi del
500 narra il Fazello, che si ricorreva alle rovine di
Camarina, segno che quelle di Terranova erano già
state allora su larga scala sfruttate.

Col rinascimento degli studi classici nel sec. XVI,
e cogli eruditi del XVII, quasi ogni città di Sicilia
vanta uomini che tentarono ricostruire alla meglio la
storia antica della loro patria, e secondo i criteri del
tempo descrissero e valutarono i monumenti e le re-
liquie superstiti. Ma in Terranova nissuno volse il
pensiero a siffatti studi, che tanto più sarebbero stati
a noi di ausilio prezioso, quanto più feroce e siste-
matica la distruzione dei ruderi ; si continuò metodi-
camente a distruggere ogni cosa, senza che veruno
curasse di tenere un ricordo, redigere uno schizzo.
Ed è in parte per questa riprovevole negligenza che
potè sorgere e divulgarsi la credenza che l'antica Gela
sorgesse in Licata, anziché in Terranova.

Così è che tutti i geografi ed i periegeti della
Sicilia come il Cluverio, il D'Orville, il Biscari, ecc.
si richiamano sempre al magro passo del Fazello,
senza nulla aggiungere di nuovo sullo stato delle
mine, ed al più insistendo sulle frequenti scoperte di
vasi e sepolcri ; ed anche i pochi scrittori strettamente
locali non hanno valore di sorta per l'archeologo, nè
meritano di essere citati (').

(') Appena ilp. B. M. Candiotto, De' saggi storici di Sicilia
ed in particolare dell'antichissima et fidelissima città d'Era-
clea Spartana, nel suo libro, stampato nel 1791, farraginoso, di-
sordinato, destituito d'ogni senso critico, e ridondante di volgari
errori, ricorda a p. 108: « Si vede parimenti un altra iscri-

Gela ha incominciato a farsi conoscere al mondo
dei dotti ed a rivendicare a sè il suo antico posto
nella attualo T. N. per mezzo dei suoi magnifici vasi,
dei quali nessuna città della Sicilia, ed oserei dire della
Magna Grecia, tanta copia ha restituito, diffondendoli
sin dalla fine del settecento in tutti i grandi Musei
d'Europa ('). Dalla metà dell'ottocento vennero costi-

li zione nella riferita villa di Terranova, scolpita in un alta ed
«antichissima colonna di pietra granita rossa»; è il decreto
Kaibel n. 256, il quale, secondo altre fonti, sarebbe stato
trovato nel 1660 e conservato in Licata. Se il Candiotto fosse
veramente degno di fede, la sua notizia sul sito della scoperta
avrebbe grande significato, perocché questo sia il più ampio
e più ricco documento epigrafico, sulla cui autorità i vecchi
scrittori licatesi rivendicano alla loro città la sede di Gela. Ma
il diligentissimo d'Orville, che vide e copiò l'iscrizione nel
1727, è anteriore all'equivoco Candiotto, la cui autorità resta
con ciò solo compromessa. Da lui stralcio queste altre notizie
di poco valore. Nella tenuta Candiotto si trovarono « idoletti
e incensieri d'argento »; a Costa Zampogna « un sepolcro di
forte pietra giorgiolena »; e quivi stesso « fondamenti di smisu-
ratissime pietre quadrate bianche e rosse » adibite alla fabbrica
dol Carmine. Aricino al pozzo della Cicogna « circa 80 pezzi
di pietre quadrate di smisurata grandezza » usate nella stessa
chiesa ed in altre.

Della letteratura gelese non ho potuto consultare: V. di
Monza, Sul sito di Gela (1846), nè il Pizzolanti, Memorie
storiche di Gela, (Palermo 1753) ; non fa al caso nostro il
Linares, Gela in Licata (Palermo 1845), sostenitore della
tesi licatese; nè ha valore archeologico il recente libretto di
S. Da Maggio-Navarra, Memorie Gelesi (T. N. 1896).

(') 0. Jahn è il primo che nella sua classica Beschrei-
bung der Vasensammlung in der Pinakothek zu Munchen,
(Einleitung, p. XXXI), Munchen 1854, dà una rassegna delle
scoperte vascolari segnalate in Gela dalla fine del 1800; merita
qui ricordo la scoperta fatta nel 1792 dall'lJhden di fornaci
con masse di cocci « ani Abhange des Hiigels », indicazione
troppo generica per poter identificare il sito. La celebre rac-
col a di Monaco, che tanto si arricchì di vasi agrigentini col
mezzo del Politi, pochissimi ne contiene di gelesi.

Tale è la copia e la bellezza dei vasi gelesi di stilo
rosso, sovra tutto delle lekythoi, che si è da qualcuno pensato
ad una industria locale. Anche recentemente il Walters, nella
sua pregevole Ilistory of ancient pottery (London, 1905, voi. I,
p. 87) afferma, ma credo a torto, che « there was undoubtely
a considerable locai fabric ». Che la Sicilia abbia dato nel
sec. V pittori vascolari, è provato dalle firme di Sìkelos e Si-
kanos; ma essi lavorarono in Attica, al paro di tanti altri pit-
tori non attici. E quando pure opere da essi firmate venissero
fuori dal suolo gelese, non mi reputerei tenuto a credere stabi-
lita in Gela la loro officina. Di troppo peso in contrario è la
impronta stilistica delle loro opere, dimostranti indirizzo e ma-
niera netta attica. Di più si deve tener conto delle vernici,
dei colori e delle crete, che in Sicilia non si sapevano ottenere
colla perfezione di quelle attiche. Se una industria perfezio-
nata si fosse nella prima metà del V secolo svolta a Gela,
essa avrebbe determinato una pericolosa concorrenza a quella
attica; ma ciò appunto non si è avverato.
 
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