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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 18.1907

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Taramelli, Antonio; Nissardi, Filippo: L' altipiano della Giara di Gesturi in Sardegna: ed i suoi monumenti preistorici
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https://doi.org/10.11588/diglit.9136#0066

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110- l'altipiano della giara-

completa e più intima di quanto forse non fu mai
nelle civiltà posteriori. I caratteri di questa civiltà,
gli stadi graduali da essa percorsi, i suoi elementi ed
i rapporti con le civiltà contemporanee, i limiti stessi
del tempo in cui essa può essere compresa, ancora ci

in modo grandioso e nulla se ne rivela sulla superfìcie ridente
e glauca del mare; ma le conseguenze appariranno domani;
così vi furono nella notte del periodo preistorico dei fatti
grandiosi nella Sardegna e non ne rimane nella storia nulla,
o ben poco, tranne che vaghissimi, tenui veli di leggende in-
certe ; ma rimangono solenni i mille e mille nuraghi, riman-
gono le opere grandiose di un popolo che ha vissuto intensa-
mente, rimangono le necropoli di una gente che venerò gran-
demente i suoi avi; interroghiamo gli uni e le altre e sapremo
qualche cosa di più certo e di più vero, e faremo una buona
volta giustizia ad una schiatta, che se provò c conobbe per
oltre due millennii, le vie del dolore e del sacrificio, percorse
però precedentemente un cammino di indipendenza, di energia
e di gloria, troppo amaramente scontato. Le linee di questa
storia della preistoria sarda non potrei oggi tracciare neppure
vagamente; tuttavia non saprei se ancora posso seguire il
Patroni nella sua osservazione che elementi antichissimi di
civiltà e di popolazione vengono a sovrapporsi ai sardi eneo-
litici, elementi che del resto noi non potremo distinguere,
neppure dal punto di vista antropologico, essendo essi etnica-
mente affini a quelli precedentemente stabiliti nell'isola ed
appartenenti alla stessa razza mediterranea. Troppi elementi
di continuità ho potuto cogliere dalla civiltà delle tombe e
delle stazioni eneolitiche sarde a quella dei nuraghi, per non
vedere in questa una evoluzione di quella, per non venire alla
supposizione che tutta la civiltà nuragica siasi svolta nell'isola
da germi iniziali importati nell'età eneolitica e qui svoltisi
per condizioni estremamente favorevoli; la conseguenza però
della supposizione di questa millenaria continuità di vita è la
stessa di quella a cui viene il Patroni, con la differenza però
che noi dobbiamo spingere a periodo di molti millennii lon-
tano il momento in cui l'ondata etnica dei Sardi toccò la
Ichnusa e dobbiamo' parimente concludere dai risultati che
l'antropologo segnalò nelle tombe di Anghelu Ruju, che la
mistione di elementi etnici differenti, che anche oggidì co-
gliamo in Sardegna, fosse già avvenuta nell'età eneolitica (G.
Sergi, La Sardegna. Note e commenti di un antropologo. To-
rino, 1907, p. 17J. Ne verrebbe di conseguenza, dice il Patroni,
che l'arrivo degli Shardana nell' isola non avrebbe creato nes-
suna talassocrazia e che la avrebbe già trovata stabilita per
opera de' pescatori e de' commercianti di ossidiana dell'età
neolitica. Ma io ritengo che le conseguenze della nostra osser-
vazione sulla continuità degli elementi eneolitici in quelli della
civiltà nuragica abbiano una portata maggiore di quella ve-
duta dal collega mio ; che cioè la civiltà degli Shardana
siasi qui elaborata completamente, dai suoi germi iniziali, sia
qui cresciuta, battagliera, vigorosa, e che lungi dal vedere
nella Sardegna l'estremo rifugio di una razza dispersa, inse-
guita, come una fiera fuggente, dall'elemento semitico che venne
qui ad azzannarla ed a soggiogarla, noi dobbiamo vedere il
nido donde essa spiegò un volo ardito, dopo aver lasciato una
impronta di dominio, di lotta, di tenacia sul suolo da lei gua-
dagnato alla civiltà. Le scoperte di Creta hanno allargato gli
orizzonti della conoscenza nostra sulla civiltà del Mediterraneo,
e l'idea sull'asservimento della coltura mediterranea al mirag-

gesturi in sardegna, ecc. i^q

sfuggono, ma la luce, in queste incertezze ed in queste
tenebre, non può essere data che dalla punta lumi-
nosa e laboriosa del nostro piccone.

Antonio Taramelli.

gio dell'oriente, andò lentamente facendosi meno tirannica ed
assoluta. Ma se della talassocrazia cretese rimangono i fatti
positivi de' palazzi e de' monumenti raccolti dalla ricerca mo-
derna, se rimane l'eco ancora viva nella tragica leggenda mi-
noica, invece un grande silenzio ancora avvolge la talasso-
crazia e la vita intiera della schiatta sarda. Ma nel silenzio
vanno mormorando le tenui voci, con le incerte leggende dei
discendenti di Eracle, col ricordo del culto degli avi, coll'ac-
cenno alle mirabili Tholoi dell'isola, coll'idea della sua gran-
dezza, maggiore a quella d'ogni altra isola del Mediterraneo.
Oggidì l'idea che la civiltà sarda siasi svolta sotto la spinta
della civiltà fenicia ci fa sorridere mestamente, al pensiero
della tenacia con cui l'errore trionfa, tanto nella vita che nella
storia. Quando i Semiti vennero ad iniziare lo sfruttamento
della terra sarda, la evoluzione della civiltà era già compiuta,
anzi il ciclo era già chiuso, e l'elemento novo di civiltà che
venne importato dai Semiti non ebbe forza di rinnovarlo. Qua-
lunque siano i meriti della schiatta semitica ed i doni da essa
recati nell'isola, non possiamo dimenticare che essa ha illivi-
dito il suo cielo e la sua terra, sottraendola all'azione di altre
genialità, ben altrimenti operose ed efficaci. Ad una colonizza-
zione punica, alla esclusione dell'elemento ellenico e dell'ele-
mento tirrenio, oltre che al limitato e tardo intervento dei
rinnovati elementi italici, si deve attribuire, a mio giudizio,
l'inferiorità storica della razza sarda, la quale ha al suo attivo
una « realtà n preistorica di energie, troppo chiaramente evidenti,
perchè noi abbiamo oggi a disperare, in nome della storia, in
un migliore avvenire. Con vero compiacimento vedo collimare
i risultati della ricerca archeologica con quella delle indagini
della critica storica; leggo in questo momento le pagine scritte
dall'amico prof. G. De Sanctis, sulle colonizzazioni dei Fenici in
Sardegna: La sLoria de' Romani, I, p. 334, n. 4; egli mantiene
le vedute già espresse dal prof. Beloch (Rheinisches Museum,
XLIX (1894) p. 119 e contro le obbiezioni dello Helbig, Acad.
des inscriptions et belles letlres, XXXV, 1896, p. 291) ri-
tiene che tutta la colonizzazione Semitica in Sardegna debba
collocarsi tutta dopo il VI secolo; forse le riserve verso le idee
esposte dal Patroni non reggeranno innanzi alla riprova dei
fatti archeologici, ma è però notevole osservare che prima del-
l'VIII secolo a. C non si possa parlare, nonché di colonizzazione,
neppure dei primi scali semitici in Sardegna. Prima di quel-
l'epoca i nuraghi erano già « monumenta majorum », per la mas-
sima parte, ed i santuari punici fondati come in terreno
di conquista, sopra i nuraghi, coprirono delle rovine di una
civiltà già chiusa. Così insegna lo scavo di Lugherras, ed io,
archeologo, credo agli scavi; il resto è, per me, di valore secon-
dario, e merita la mia fede solo quando si accorda a ciò che
mi dicono la successione degli strati, le prove concrete, mate-
riali, ma positive della suppellettile archeologica. Il resto è in-
vestigazione, ermeneutica, ginnastica mentale, ardimento critico,
tutto quello che volete, ma a mio giudizio potrà essere domain
travolto miseramente dalla realtà dei fatti acquisiti dalla nostra
scienza, Castae damnatum Minervae, dalla nostra scienza so-
litaria e modesta, ma tutta ingenua di fede e di passione.
 
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