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123 ANATHEMATA DI UNA

alle favisse dei tempi classici, ed adibite a nascon-
diglio degli ex-voto fuori uso.

Quella collina era infatti da tempo conosciuta come
ferace miniera di grandi e magnifici busti in creta,
dei quali parecchi io pubblicai (op. cit., p. 47 e segg.),
provenienti dai miei scavi e da precedenti casuali
scoperte. Anche nella primavera del 1901 un villano
s'imbattè in un altro di codesti singolari depositi, ed
anche di questo io ebbi la ventura di acquistare il
meglio. Assieme a piccole terrecotte riproducenti tipi
noti, ed a rottami di maschere di grandi busti, pri-
meggiano per nobiltà d'arte i due esemplari (tav. I)
interamente ricomposti da frammenti. 11 primo, a.
cm. 42, ha l'aspetto concentrato e severo con espres-
sione fredda, quasi dura. Il contorno del volto al-
quanto asciutto è inquadrato in alto dalla chioma
ondulata, con colpi di stecco, e fiancheggiato da due
masse appena abbozzate che scendono sulle spalle.
Il lavoro è sommario nei particolari, prova ne sieno
le orecchie difettose e bruttissime.

Di gran lunga superiore è l'altro esemplare, più
arcaico, a. cm. 42, ma infinitamente più carezzato
nella chioma e nelle orecchie, picciolette e delicate,
coi lobi forati. Diversa ne è la costruzione del volto,
di un ovale pronunciato, con occhi, naso, labbra più
prominenti, ma assai meno espressivi.

Le teste rappresentano due tappe, due momenti
diversi nella evoluzione artistica, che verso la seconda
metà e la fine del sec. V ci addurrà ai tipi di quella
nobile ma non più austera bellezza, che noi ammi-
riamo in una serie di busti agrigentini ancora inediti
del Museo di Siracusa. Questi e quelli erano com-
pletati a latte di calce, su cui il colore rosso delle
labbra e delle chiome, il bruno degli occhi infondeva
una nota di grande vivacità, della quale ci porgono una
idea i kantharoi configurati a teste muliebri della
prima metà del sec. V. Il secondo dei nostri esem-
plari porta al collo l'orma evidente di una collana
plastica, fortunatamente rimasta intatta in alcuni degli
agrigentini. Esso si accosta più che nella chioma nella
conformazione facciale ad un altro busto del Museo
Biscari di Catania, illustrato dal Petersen [Roem.
Mittheil., 1897, p. 137), busto che reputo, al paro
degli altri, grammichelese.

Che tali busti raffigurino Demeter e Cora è per
più ragioni probabile, ma è mio divisamente svolgere

1 SICULA-GRECA ECC. jg4

altrove la serie di argomenti desunti dalle fonti let-
terarie, dalle rappresentanze vascolari ecc., che mili-
tano per tale interpretazione.

E poiché me ne viene l'occasione aggiungo qui ia
riproduzione nel dritto e nel rovescio di una singo-
larissima statuetta arcaica (tav. II), in pietra calcare,
alta cm. 21, rinvenuta nei classici terreni che pas-
sano sotto il vocabolo di Terravecchia, ed entrata
nelle raccolte del Museo nel marzo 1905. A corredo
delle due grandi e belle fotografie basterà una breve
descrizione.

Figurina virile acefala ed apoda vestita di un
corto chitone serrato ai fianchi da cintura ; essa porta
a tracolla un doppio telamone, dal quale pende sul
dorso un oggetto circolare appiattito, che non oso dire,
se sia una fiasca, una fionda od altro; i glutei sono
molto pronunciati, nettamente indicata la rotella del
ginocchio ; di riporto era la testa, di cui rimane
appena una traccia della chioma a spatola, ed il
foro rettangolare nel torso, sul quale essa era inne-
stata.

Molte strane particolarità offre codesta rara figu-
rina, che aderiva sul lato sin. ad una specie di pi-
lastro ; manca il braccio d., che, a giudicare dall'orma,
era verticale colla mano sulla coscia, ed il sin. non
è indicato nel prospetto, mentre è reso nel rovescio,
col gomito piegato ; il chitone che nel davanti arriva
appena al ginocchio era quasi talare nel rovescio, pre-
sentando quindi una foggia ed un taglio assoluta-
mente inusitato. E così sul dorso, sotto il telamone
vedesi appena accennata a tenue rilievo una lunga
falda simile a cappuccio fratesco : è del paro enigma-
tico e senza riscontri l'oggetto discoidale appeso al
telamone. Tanto che per tutte codeste anomalie mi
sono soventi volte domandato, se veramente si tratti
di una scultura greco-arcaica o di un rozzo pasticcio
secentesco. Ma il ripetuto esame fatto da me e da
altri competenti, le forme anatomiche, il residuo della
chioma a spatola ha in fine lasciata in me la piena
convinzione che si tratti di un lavoro greco-arcaico,
non dovuto però ad uno scalpello educato e discipli-
nato alle buone norme dell'arte contemporanea, ma
ad una mano rozza e barbara, ad un artista della
montagna ; e di codesta rozza arte locale abbiamo un
altro testimonio nella testa in calcare che illustro
più avanti.
 
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