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sciamo grazie al finissimo studio fattone dal Lechat('),
si è esplicata in più luoghi della Grecia (Ptoion di
Akrophiae, Olimpia, Creta, statua di Eleutherna), ma
sovratutto sull'Acropoli di Atene. Ora chi ponga a
raffronto la nostra testa con quelle ateniesi, e sopra
tutto col gruppo frontonale di Typhon, uno e trino,
non potrà disconoscere una certa aria di famiglia; non
parlo delle note anatomiche, non della stessa bar-
betta adunca, accuratamente ritagliata al contorno, ma
dello spirito che emana da questa figura; grottesca
e ridicola, non meno che stordita ed inespressiva nella
fisionomia, essa desta un senso di ripulsione e di an-
tipatia.

Ultimi quesiti da porre: esprimeva la testa un
soggetto sacro o profano, un simulacro di divinità o
di mortale? E l'anomalia, la deformazione del cranio
è solamente dovuta ad imperizia dell'artista, od anche
alla scrupolosità di esso nel rendere il soggetto, un
Greco brutto, o forse un barbaro Siculo? Sono tutti
ardui problemi, a cui solo per via di ipotesi è lecito
rispondere. Certo è che l'arte nel periodo della pietra
tenera è tutta asservita al culto, ma come rappre-
sentava la divinità, esprimeva altresì i devoti, i de-
dicanti. Che la nostra testa appartenga a qualche
gruppo frontonale non oserei affermarlo, sebbene l'ap-
piattimento di essa sembri fatto per mostrarla di tre
quarti piuttosto che di profilo; ma le sue rilevanti
dimensioni, che alludono ad una figura poco minore
del vero, sconsigliano ad ammettere, nello stato at-
tuale delle scoperte, un tempio in legno di grandi
dimensioni con sculture frontonali. Ed in tal caso
converrà meglio pensare ad un anathema isolato ed
indipendente. Quanto alla bruttezza del tipo è certo
che molta parte va fatta alla incapacità dell'artista;
il realismo congiunto all'imperizia dell'arte primitiva
diventa sovente negazione di bellezza, e ne sono prova
qur,si tutte le sculture tufacee dell'Acropoli, e molti
dei piccoli bronzi primitivi ; barbarico è p. es. il volto
del piccolo auriga di Olimpia, Botticher, Olympia,

1 » ed. p. 172 ('), e tra le stesse terrecotte primitive di
Pojo Aquja se ne hanno talune dall'aspetto orribile
(Orsi, Grammichele, figg. 8, 9). Che siasi voluto ren-
dere un barbaro Siculo anziché un Greco non oso affer-
mare, nè negare, ma non lo escludo in modo asso-
luto, quando penso che il santuario sorgeva in mia
regione forse politicamente ancora non conquistata ed
in ogni modo sempre abitata da molti indigeni. I Si-
culi barbari, privi di culto iconico, accettarono dal-
l'arte greca arcaica le prime immagini di culto, rozze
e toccanti la lor fantasia, iniziando per tal modo la
loro evoluzione civile ed artistica. Non diversamente
nella lontana Iberia, immune da colonie greche, ma
non immune dall'alito vivificatore dell'arte greca, la
invasione di articoli micenei preparò una corrente
artistica, e ad Elchè (Eh'xr] — Elici) sotto l'indiretta
influenza dell'arte greco-asiatica noi vediamo svolgersi
una serie di immagini ieratiche in calcare locale, che
tocca l'apogeo col meraviglioso busto del sec. V ora
al Louvre, scolpito in posto, nello sfarzoso costume
paesano, da un artista greco di Massalia o forse
anche della Sicilia (2).

E qui mi fermo, non volendo dar corso ad ulteriori
ipotesi per le quali manca ogni solido fondamento, e
che se lusingano la fantasia, non soddisfano le esi-
genze della critica. Ci basti aver raggiunto questo ri-
sultato, che nel VII sec, non solo nelle città greche
delle coste, ma forse anche nelle siculo-greche del-
l' interno, accanto ai grandi prodotti della coroplastica
si tentava, in servizio del culto, la produzione di im-
magini in calcare, trattate secondo i principi infan-
tili dell'arte contemporanea, che dalla Grecia irra-
diava sulla Sicilia, con una tecnica simile a quella
dell' intaglio in legno, e fantasticamente ravvivando
la deficiente anatomia coli' impiego di smaglianti
colori.

Statua fittile muliebre, seduta, alta nello stato
attuale cm. 98, e ricostruita da numerosi frammenti,

Un po' più recente è il torso acrense: Orsi, Rendicónti Lincei.
1897, p. 209, ma pure in calcare ed a tecnica lignea, e troppo
mutili i frammenti di Ragusa (Notizie, 1899, p. 407).

(') Revue archéol. 1891 I. p. 304 e seg.; idem, Au Musée
de VAcropolc d'Athènes, 1903 (pp. 3-146). Vedi anche Perrot,
Ilistoire de Vari dans Vantiquité, Vili, p. 531 e seg.

(') Anclie in parecchi santuari arcaichi della Grecia ac-
canto alle scolture di arte buona, ve ne avevano di scadenti
e brutte; vedi p. e. alcuni pezzi dello Ftoion [Bull. Corr. Bell
1907, p. 202 e tav. XXI).

(2) E. Hiibner, Jahrluch. d. d. arch. Instit., 1898, v-ni
e seg.; P. Paris, Monuments Piot., IV (1898), p. 137 e seg.;
P. Paris, Essai sur Vari et Vindustrie de VEspagne primitive,
voi. I, p. 204 e seg.
 
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