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teso che rimase la lingua sicula, sovra tutto nello
campagne e nei monti, fino ai tempi romani. Ma i
Siculi civili conoscevano e parlavano il greco, e greca
ora divenuta la lingua ufficiale delle loro città. Quanto
della religione e del culto siculo sia rimasto non sap-
piamo. Ma l'arto greca, e sopratutto quella industriale,
soppiantò interamente dalla fine del V secolo la in-
digena.

Topograficamente parlando, nel triangolo Mineo
Mazzarino, e Sette Feudi di Caltagirone, il piccono del-
l'archeologo ci è venuto rivelando negli ultimi anni
parecchie cittadine, borgate e castella a substrato si-
culo con strati greci di sovrapposizione, i quali si
spingono o si arrestano a diverse età (V e IV sec).
In questa regione e nelle circostanti l'analisi critica
dei testi colloca parecchio città, di cui appena poco
piti del nome conosciamo (Euboia, Echetla, Morgantia,
Galarina, Erykc ecc.); intorno alla loro ubicazione eru-
diti, filologi e storici si sono affaticati indarno, perchè
non sorretti dalla indagine archeologica. Per Euboia
ed Echetia io discussi, se convenisse identificarlo con
Licodia Eubea e con Terravecchia di Grammichele;
credetti di escludere la prima identificazione (Roem.
Mitth., 1893, p. 305 e seg.), e rimasi in sospeso per
la seconda, sebbene Terravecchia prosenti molti dei
requisiti topografici attribuiti dalle fonti ad Echetla
(xwQìov ò%vgóv, posta fra il dominio [siracusano ed
il calcidese, al confine settentrionale del territorio ca-
marinese). Tale giudizio sospensivo io devo man-
tenere anche oggi, dopo dieci anni, e malgrado le
nuove e numerose scoperte, che accentuano il ca-
rattere greco di alcuni strati. Questa incertezza du-
rerà ancora a lungo e sarà soltanto definitivamente
risoluta dalla scoperta di qualche titolo, con desigua-
zione toponomastica. Ma chi sappia quanta sia la pe-
nuria delle iscrizioni classiche anche nelle città greche,
potrà disperare che codesto nostro voto mai venga
esaudito.

Chi poi, senza conoscere la Sicilia, senza aver per-
corsa palmo a palmo questa regione orientale degli
Herei, tutta rotta da altissimi colli, acconci l'uno
meglio dell'altro ad accogliere castelli e <pqovqi«
o colla scorta delle sole carte, sien pure quelle ottime
dello Stato Maggiore, presumesse addivenire a risul-
tati topografici certi, non andrebbe incontro che ad
amare disillusioni, ed i suoi non sarebbero che vacui
tentativi nel vasto campo delle ipotesi.

Le sole risultanze certe e positive, emananti dalle
precedenti e dalle ultime scoperte nelle contrade
Terra Vecchia, Pojo Aquja o Madonna del Piano
presso Grammichele, si possono così compendiare:

1) Sulle pendici basse circostanti al Pojo Aquja
si era adagiata una popolazione sicula del 2°-3° pe-
riodo, documentata da sepolcri, bronzi e vasi.

2) Sulla vetta di Pojo Aquja essa aveva un san-
tuario, a quanto pare, aperto, con ricchissimo mate-
riale fittile, di diretta impronta greca, dei secoli
fine VII-1/, V.

3) Sulla vetta opposta, a SE di Pojo Aquja, do-
minante lo altre, si ergeva una piccola acropoli for-
temente munita, ed a quanto pare di epoca più
tarda.

4) Nella sottostante contrada di Madonna del
Piano il thesauro recentemente scoperto, coi mate-
riali prettamente greci del sec. VI e principio V, è
sicuro indizio di un santuario greco, la cui scoperta
sarà compito riserbato all'avvenire.

5) In conclusione abbiamo qui una città àxti%idToc,
non murata, probabilmente anzi un complesso, un ag-
gregato, di quartieri siculi, l'uno prossimo all'altro,
da collocarsi nei secoli X-VI, ai quali in sull'inizio
del VI si sovrappone la rigogliosa civiltà greca, a
quanto pare accompagnata nel corso di quel secolo
da una invasione, non sappiamo se violenta o paci-
fica, di elementi etnici greci, probabilmente Calcidesi,
risaliti da Catana e Leontinoi.
 
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