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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 19.1908

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Paribeni, Roberto: Il sarcofago dipinto di Haghia Triada
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https://doi.org/10.11588/diglit.9316#0033

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IL SARCOFAGO DIPINTO DI HAGHIA TRIADA

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la rottura dell'intonaco ; dell'altra più corta non si
vede il termine. Naturalmente la più lunga dava le
note più basse destinate all'accompagnamento, l'altra
svolgeva il canto.

Le canne sembrano cilindriche, molto probabil-
mente perciò sonavano per mezzo di un'ancia sem-
plice, come il nostro clarino, e non di un'ancia doppia
come le canne coniche (moderni oboe). Cilindriche
sono le tibie pompeiane conservate nel museo di Na-
poli ('). Sulla tibia più lunga sembra si possano con-
tare otto fori; il senatore Mosso nel suo libro su
Creta immaginò altri cinque fori coperti dalle cinque
dita, e, calcolando il suono del tubo tutto aperto,
sommò a quattordici i suoni che lo strumento poteva
dare (2). Devesi però osservare anzitutto, che un dito
almeno (un pollice) è, nel sonare un tubo dritto, co-
stretto all'immobilità, perchè sorregge lo strumento,
e non può perciò servire a chiudere o ad aprire fori.
Quindi occorrerebbe ridurre i fori a dodici e i suoni
a tredici. Ma in verità da un tubo con dodici fori,
sia con la diversa pressione del fiato, sia con espe-
dienti semplicissimi di digitazione si possono ottenere
ben più che tredici suoni. Soltanto non è possibile do-
minare un tubo a tredici fori senza l'aiuto di chiavi,
e, siccome di chiavi non si ha memoria nè scritta nè
monumentale, se non in età romana (3), probabilmente
occorre ridurre il numero di tredici fori a più mo-
deste proporzioni. Ed invero quello che il Mosso sup-
pone, che le dita del sonatore coprano cinque fori,
non pare si accordi con la rappresentazione che mostra
le dita stesse sollevate come in un tutto aperto.

Il Mosso (1. c.) ammette anche la presenza dei
tubetti che, incastrati nei fori, servivano ad abbas-
sare di un semitono la nota data dal relativo foro (4) ;
ma anche su questo non mi sembra, che il monumento
ci illumini completamente.

(') Cfr. in genere sugli strumenti a fiato degli antichi
Gevaert, /list, et theorie de la musique da/is Vantiquité, II,
p. 270 scg.

(•; Mosso, Escursioni nel Mediterraneo, p. 261.

(') Qualche cosa del genere hanno le tibie trovate a Pompei,
mentre due tibie ateniesi del Brit. Museum non hanno che sei
fori (Gevaert. 1. e, II, p. 645); una egizia del museo di Leyda
ha quattro fori (Wilkinson Birch, 1. e, I, p. 486) cfr. Poi-
lux, Onomasticon, IV, 9 sull'aggiunta di fori ai quattro ori-
ginari.

(4) Vedi su quest'uso e sui monumenti greci e romani re-
lativi Gevaert, Ilist. et theorie, li, p. 296.

Più sicuramente mi pare possa sostenersi, che
già in quel tempo remoto i sonatori di avhri face-
vano uso di quella singolare fascia che legava la bocca,
e che adoperavano più tardi Greci e Latini ((poQfieià,
capistrum). La fascia è espressa quasi da una conti-
nuazione del tubo diritto che oltrepassa la bocca e
viene a finire lateralmente sulla gota. Più difficili a
interpretarsi sono i tratti filiformi di color nero che
dalle tibie scendono sul petto, forse sono i legacci
della (poQ^sià.

Circa l'uso della doppia tibia, gli Egizi la cono-
scevano almeno già fin dalla V dinastia, a cui ri-
montano le tombe di Tebhen e di Ti a Saqqarah,
dove è rappresentata insieme con la tibia obliqua (nla-
yiavloq) corrispondente al nostro moderno flauto (').
Non pare però cominci a divenir frequente, se non
col nuovo impero tebano (2). In Assiria appare in un
rilievo di Kujundjik del tempo di Sennacherib (3).
Nel bacino dell'Egeo pare che la doppia tibia si dif-
fonda molto presto; almeno antichissima è la figurina
di un sonatore trovata nell'isola di Keros (4), e così
pure presto la doppia tibia è usata in Occidente, come
possiamo dedurre da una arcaica statuetta sarda di
Ittiri (6). Del periodo miceneo avevamo già rappre-
sentanze di cetre e di tibie in statuine di Kamiros (°)
e di Cipro, (7) e forse parte di veri strumenti a
Micene (8).

L'ultima parte di questo lato del sarcofago, assai
mancante, comprende cinque figure, che avanzano verso
il luogo del sacrificio. Dal colore bianco della pelle
dei piedi si deduce che le figure erano muliebri. La
prima è sola, le altre procedono due a due. Indossa
la prima una veste turchina con linee oblique brune,
lunga fino ai piedi; l'orlo inferiore porta due fasce:
una rossa, una gialla, distaccate fra loro; due fascie ver-
ticali, una bianca ed una rossa, scendono dalla vita.

(') Amelinean, Sepulture et funerailles in Annales Guimet,
XXIX, p. 400 e tav. 49. Per una dubbia figura preistorica di
suonatore di doppia tibia trovata a Hierakonpolis, cfr. Capart,
Les debuti de l'Art en Égypte, p. 269.

(a) Erman, Aegypten, p. 345.

(3) Layard, Monumenti ofNinive, II, s. tav. 49. Cfr. Fétis,
Hist. générale de la musique, I, p. 362.

(4) Perrot Chipiez, Ilist. de Vart, VI, p. 760.
(6) Taramelli in Not. Scavi, 1907, p. 356.

(°) Perrot Chipiez, Ilist. de VArt, VI, p. 701.

(') Id, ibid., Ili, p. 587.

(") Schliemann, Mycènes, figg. 127-130.
 
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