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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 19.1908

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Paribeni, Roberto: Il sarcofago dipinto di Haghia Triada
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https://doi.org/10.11588/diglit.9316#0045

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IL SARCOFAGO DIPINTO DI HAGHIA TRIADA

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Le scene figurate sui due lati lunghi del sarcofago
rappresentano le cerimonie, che avevano luogo nel sep-
pelimento, o quelle che si svolgevano più tardi in
visite commemorative al sepolcro?

Che di tali visite periodiche vi fosse uso presso
gli uomini minoici, non crediamo si possa dubitare :
induzione fatta dai costumi di tutti i popoli che per
luogo e per tempo si avvicinano a quegli uomini, e
che furono con essi in relazione ('). Quel che si fa
immediatamente notare nelle pitture del nostro sar-
cofago è la compostezza serena di tutte le scene :
nessuno dei personaggi si abbandona a pianti, a grida
e ad altri atti di dolore : tutti compiono i loro atti
in silenzio, raccolti sì, ma tranquilli.

Questa constatazione sembrerebbe favorire l'ipotesi,
che le pitture si riferiscano solo alle visite posteriori
dei superstiti al sepolcro del morto, specialmente se
si confrontano rappresentazioni di seppellimenti egizie
ed elleniche in cui gli astanti danno libero sfogo al
loro dolore (2), o se si richiamano alla mente le descri-
zioni delle scene violente e selvaggie di dolore, che
in occasioni simili Omero attribuisce ai suoi eroi (3)
e che Erodoto narra degli antichi egizi (*) e che l'et-
nografia ci insegna esser comuni tra tutti i popoli
primitivi.

Ma una convenienza maggiore nella scelta del sog-
getto, la presenza del morto ritto fuori della tomba,

(') Mi dispenso da citazioni riguardo all'Egitto: la fede
nella sopravvivenza del ha e nel bisogno che esso ha di cure
e di assistenza continuate, ci spiega naturalmente la necessità
di visite e di sacrifìci frequenti alle tombe, e l'uso di istituire
una specie di sacerdozio famigliare per il culto dei morti e di
trasmetterne ad altri la cura in caso di estinzione della fami-
glia, cfr. Amelineau, Sepulture et funerailles en Égypte in
Annales du Musée Guimet, voi. XXVIII e XXIX. Si potrebbe
ricordare anche l'uso del tescar o sacrifizio commemorativo sì
largamente praticato nell'Africa nord-orientale da popolazioni
sia cristiane che musulmane, e che deve perciò risalire a pe-
riodo preevangelico e preislamitico. Per i costumi analoghi dei
Micenei nel continente ellenico fanno fede gli altari e pozzi
sacrificali più volte rinvenuti, per es. in tombe a fossa di Mi-
cene (Tsundas Manatt, Myc. Age, p. 89, fig. 34) nel dromoa
della tomba di Vaphio: Tsundas in 'E<p. 1889, p. 138;

nelle tombe di Menidi e di Dimini, Ath. Mitth., XI, p. 437;
XII, p. 139: i resti abbondanti di ossa animali presso parecchie
altre tombe della stessa età (Tsundas Manatt, Myc. Age, p. 96).
Per gli usi greci più tardi cfr. Stephani in Compte Rendu de
St. Peterslurg, 1805, p. 6; Kobde, Psyche* I, p. 35. n. 2 etc.

(2) Cfr. Erman, Aegypten, II, p. 432.

(3) Z 22; T 284; <o 640 etc.
(«) Herod., II, 36, 85.

e il significato di alcune delle offerte, rendono più pro-
babile l'ipotesi, che le pitture si riferiscano piuttosto
alle cerimonie del seppellimento. Infatti, se anche si
può supporre la conoscenza di un qualche primitivo
sistema di conservazione del cadavere tra gli uomini
minoici ('), sembra difficile ammettere, che essi po-
tessero concepire ritto in piedi fuori della tomba un
uomo morto da molto tempo. Inoltre l'offerta delle
vittime si potrebbe benissimo conciliare con l'ipotesi
di una visita al sepolcro : ma non così, a mio parere,
l'offerta della barca. Evidentemente questa era desti-
nata al viaggio estremo del morto, e doveva essere
ritenuta necessaria subito nella prima deposizione del
cadavere, mentre non si intende, che significato avrebbe
potuto avere il presentare o il ripetere una offerta di
quel genere, trascorso un qualche tempo dal giorno
estremo. Anche questo contegno sereno e corretto ci
attesta pertanto d'accordo coi caratteri artistici della
pittura, che i minoici di Creta avevano raggiunto un
alto grado di civiltà, da cui era lontana affatto l'im-
pulsività puerile delle cerimonie funebri primitive.

Una cosa notevolissima che apprendiamo dal nostro
sarcofago è la santificazione del sepolcro per l'acces-
sione di sacelli e di altari, verso i quali si compiono
gli atti di rito, e la protezione invocata sul sepolcro
con i simboli divini delle asce e dei corni. La stabi-
lità di quei segni religiosi è indubitabile; l'altare su
cui posano i corni di consecrazione, è costruito e ador-
nato, come la tomba che sorge dietro al morto. E le
preghiere e le offerto sono presentate ad un tempo al
morto e agli dèi.

Il fatto è, a parer mio, molto notevole. Avevamo
per il nostro periodo minoico dei segni religiosi sul-
l'arca funebre di Milatos (2) e di Palaekastro (3), ma
i luoghi sacri finora osservati presso tombe si ridu-
cevano, come dicemmo a p. 49, al tipo dei fìó&Qoi
o fosse sacrificali che sembrano destinati a un genere
di culto dei morti più diretto e più primitivo, come
quello che è rivolto esclusivamente a porre i viventi
in comunicazione col defunto, e a fornire a questo il
sostentamento (4).

(') Cfr. sopra, a p. 17, nota 1.

(2) Evans, Preistorie Tombs, p. 99.

(3) Bosanquet, in Brit. School. Annual, VIII, p. 297; Sa-
vignoni, in Mon- Lincei, XIV. p, 575.

(*) Occorre però considerare, che una fossa lascia più facil-
 
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