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NUOVE ANTICHITÀ DI GELA

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delicato processo, mercè il quale ai bronzieri del
quattro e cinquecento italiano fu possibile ottenere
delle produzioni meravigliose, era noto anche agli
antichi e ben per lungo; anzi forse sino ai fonditori
dell'età del bronzo, che seppero produrre lame di
spade e di pugnali decorati con tanta vaghezza e de-
licatezza. Cotanta era la perfezione di tale processo,
che riduceva poi ai minimi termini il lavoro di cor-
rezione e di ritocco al bulino, che qui infatti noi
vediamo parcamente adottato nello indicare i peli dei
mustacchi e della barba, dati a massa nella fusione,
forse anche nello accentuare le flessuosità della chioma,
e per romperne con qualche tratto forte la monotona
unità della superfìcie.

E poiché siamo sul terreno della tecnica, l'aspetto
materiale della nostra erma mi suggerisce altre con-
siderazioni. Così il plinto come il fusto di essa pre-
senta sicure ed ampie traccie di una sottile foglia
od incamiciatura, qua e là sollevata squarciata e di-
staccata, che non fa assolutamente corpo colla massa
del metallo sottostante. Ho meditato a quale scopo
si dovesse attribuire tale rivestimento, e mi sono ri-
cordato dell'argentatura che talvolta si applicava a
statue anche di grandi dimensioni, di cui è insigne
esempio l'efebo di Pompei scoperto nel 1900 ('). Ma
due ragioni mi inducono ad escludere la presenza
dell'argentatura; anzitutto il fatto che tale procedi-
mento non si è mai sin qui osservato in bronzi ar-
caici o dell'ottima epoca greca, ma in bronzi elleni-
stici e romani; e poi che questa sottile epidermide
sebbene oscura non presenta il colore bluastro alla
superfìcie, e bianco lucido alla frattura, caratteristici
agli argenti arcaici fusi e laminati, ed alterati dal
tempo e dai reagenti dal sottosuolo. Ed allora mi
sono rissovenuto che da qualche tempo era stata messa
in campo da taluni archeologi la patinatura dei

porre un leggero vuoto nell'anima della figura, ed io non
escludo clie esso esistesse nel vivo del pilastro ; ma doveva
essere di minimo calibro, per non compromettere la pondera-
zione della statuina, ed in ogni caso ne fu poi chiuso l'ori-
fìzio, del che appunto parmi vedere traccia sicura. Il Furt-
wangler ha dimostrato (Neue antike Denkmàler, I. Monaco,
1907. Akademie der Wiss., p. 112 e segg.) che già alla metà
del VI sec. si praticava in Grecia il processo della fusione in
cavo, ma quella in pieno rimane in ogni tempo costante per
le piccole opere d'arte.

(l) Sogliano, L'efebo in bronzo rinvenuto in Pompei, p. 15
(Mon. Ant. Lincei, X).

bronzi greci, soprattutto di quelli arcaici e del se-
colo V.

La questione sollevata dall'Heuzev ('), ma da lui
brevemente toccata a proposito di un passo di Plu-
tarco, relativo ai bronzi di Delfi, venne poi più dif-
fusamente svolta dal Lechat (B. C. II. 1891, p. 473
e segg.), illustrando una statuetta di Afrodite del-
l'Epiro, di modiche dimensioni (alta cm. 27 pre-
gevole per noi in quanto, se Plutarco riconobbe l'uso
di questa patinatura sui grandi bronzi, il Lechat ed
altri (2) avendola notata anche su statuette, sarebbe
giustificata la presenza di essa anche sull'erma di
Gela. « Rien de plus naturel (dice il Lechat, loc. cit.,
p. 478) que les sculpteurs se soient préoccupés d'as-
« surer la bonne conservation des oeuvres de metal,
« qu'ils aient eu l'idée de revétir d'une substance
« imperméable qui les protegeàt pour toujours des
« effets de l'air et de l'humidité. Mais il fallait que
« cette substance format une croùte assez épaisse pour
« n'ètre jamai pénétrée, assez mince cependant polli-
li ne pas empàter les contours, qu'elle ne fùt sujette
« ni à se fendiller, ni à s'écailler, et que partout,
» égale et fine, elle adhéràt au bronze jusqu'à faire
« coup avec lui. Il est certain que les artistes ont
i réussi à surmonter ces difficultés, mais nous ne
« savons pas comment; c'est un secret de fabbrication,
* qui semble s'étre perdu de bonne heure, bien avant
« les temps de Plutarque. Nous ne savons pas d'avan-
« tage quelle était la composition de cette espèce de
« laque métallique etc. ». Le belle e nitide espres-
sioni del Lechat riassumono quel tanto che dall'esame
dei monumenti ci è dato ricavare su questo miste-
rioso processo, dovuto forse a dei §a<fsTq %aXxoì',
analoghi ai payieìg xqv(Sov, che in Atene lavoravano
già nel V secolo. Siccome poi Plutarco (loc. cit.)
parla, a proposito di questa patina, di una /?«<p;
xvarov, io credo appunto sia il caso di applicare tale
dizione anche all'erma di Gela, nella quale la pel-
licola sollevata è precisamente di color nero con una
gamma azzurrognola.

(') Heuzey apud Carapanos, Dodone et ses ruines, pp. 217-
218; il passo plutarchiano è quello in De Pythiae orar,.
395 C.

(2) Heron de Villefosse, Athlète de bronze de Vécole
d'Argos, p. 9 (in Monumenti Piot, 1894).
 
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