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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 20.1910

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Ducati, Pericle: Le pietre funerarie felsinee
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https://doi.org/10.11588/diglit.9319#0325

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619

LE PIETRE FUNERARIE FELSINEE

620

CAPITOLO VII.
Altri soggetti funerarii.

§ 1. Za morte.

La zona superiore della stele della Certosa n. 175
(fìg. 60) è adorna di una singolare scena, la cui infantile
espressione è una prova della relativa arcaicità del mo-
numento. Nel secondo piano prospettico è una grande
figura di cavallo diretta verso sinistra, con le indica-
zioni della sua bardatura sul muso e sul collo. Questo
cavallo corrisponde del tutto, nel modo col quale è
stato scalpellato, ai cavalli di stele arcaiche; mede-
sima pesantezza di forme, medesimo ligneo contorno
a linee rigidamente condotte e ripiegate, medesima
piccolezza della testa dal grossissimo collo, medesima
direzione obliqua della linea del ventre, stesso rendi-
mento infine della criniera con semplici orlature, come
nel cavallo esibito dalla zona superiore (lato B) della
stele n. 187 (fig. 85). Per di più, i due cavalli di
queste due stele nn. 175 e 187, pienamente si corri-
spondono, non solo per la loro identica direzione, ma
anche per la analoga mossa delle zampe. L'arcaismo
infantile delle forme è poi leggermente un po' più
accentuato nel n. 187.

In origine, una figura di dèmone alata era dipinta
al di sopra del cavallo in atto di allestirlo. Ed invero,
questo è il cavallo funebre che deve trasportare il
morto agl'Inferi, come nelle rappresentazioni di cui
fu cenno nel primo paragrafo del capitolo precedente.
E la persona che dovrà salire su questo cavallo è
espressa; è espressa in assai malo modo nel primo
piano prospettico del rilievo. Già il Brizio e lo Zan-
noni riconobbero nell'infelice aggrovigliamento, posto
dinnanzi alla figura del cavallo, un uomo sdraiato su
xXCvrj che tende la mano sinistra in alto impugnante
un recipiente, cioè un nappo.

Certamente difficoltà assai gravi di espressione do-
vevano presentarsi allo scalpellatore, nel dover eseguire,
l'ima sovrapposta all'altra, la figura di un uomo sdra-
iato e quella di un cavallo. Egli, avvezzo a lavorare
ad un solo piano prospettico un rilievo assai basso
a linee parallele, dinnanzi a questo nuovo problema
ha manifestato la sua inettitudine, o meglio la sua
inesperienza, compiendo un infantile abbozzo. Forse

tale deficienza del rilievo poteva essere in parte at-
tenuata dall'uso del colore, di cui larghe traccio erano
visibili allorquando il monumento ritornò alla luce.

Noi abbiamo qui una piccola kline, troppo piccola
in confronto dell'enorme cavallo: a sinistra vi è il
sollevamento prodotto dai cuscini dove la persona
deve poggiare la testa, e così il letto fu pensato
eguale a quelli che numerosi ci sono noti da monu-
menti arcaici greci ed etruschi. Dinnanzi alla kline
è un basso e lungo sgabello, quello stesso sgabello
che, per esempio, appare nella rappresentazione fune-
raria della tomba cornetana del Morto (Monumenti
dell'Instituto, II, tav. II; Martha, fig. 285).

La figura posta sul letto sembra rattrappita ; appa-
riscono la testa dall'ampia chioma, il volto imberbe,
il braccio destro steso verso il basso, il sinistro sol-
levato col recipiente, la gamba penzoloni dalla kline;
ma il torso è malamente sacrificato dall'inetto scal-
pellatore. Sovrasta ad essa un'altra figura proporzio-
natamente assai più grande, femminile e minacciosa
per l'ascia o meglio pel martello che, sollevato dalla
destra, è diretto sul capo dell'uomo sdraiato.

Riconosco qui una scena di morte ; il martello in-
fatti, come è noto, ha nelle rappresentazioni etrusche
un significato funebre e costituisce lo stesso simbolo
della falce nelle rappresentazioni cristiane. Così nelle
rappresentazioni del medio-evo la Morte agita la falce,
non per tormentare le persone, ma per rendere ma-
teriale la idea dell'ufficio, che le è proprio, di mietere
le vite umane. La Morte in tale modo ci si appalesa
nell'affresco del Monito a Penitenza del Camposanto
Pisano ('), ove essa, con la falce, ricopre di vittime
la terra ; vecchia e feroce come è, e con la falce in
mano in luogo del martello, richiama, a mio avviso,
la concezione tibulliana della Mors atra dalle avide
mani (I, III, 4) e risale a concezioni etrusche di Furie
e di Parche, alla figura, per esempio, di lurida vecchia
alata nel coperchio di un sarcofago perugino (Frova,
op. cit., tav. I, fig. 1).

Forse l'agitazione, da parte di orribili figure, di
questi martelli sarà stata fraintesa, e forse simili
rappresentazioni etrusche, male comprese, avranno col-
pito le fantasie medioevali che paurosamente, con sup-

(*) Venturi, op. cit., V, fig. 5!'3; a ragione il Venturi ri-
curda il petrarchesco Trionfo della Morte.
 
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