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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 22.1913

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Gàbrici, Ettore: Cuma
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https://doi.org/10.11588/diglit.11259#0026

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39

« groppa » del cigno. Pare che, se non tutta, almeno
in gran parte la clamide fosse ridotta in frammenti.

Si ritiene che fra tutte le statue di Apollo con
uccello aquatico ai piedi, elencate dall'Overbeck ('),
una soltanto abbia la sua testa antica, ed è quella
degli Uffizi n. 224 (= Amelung, Fiìhrer, n. 96); ma
la probabilità della sua provenienza cumana è esclusa
dall'aver essa i piedi restaurati, laddove quella descritta
dal Ferro era conservata « fino all'estremo dei piedi ».
Ed allora, salvo a non voler ammettere che l'Apollo
di Cnma sia andato distrutto o sia tenuto nascosto,
considerando che la statua di Napoli, tolti i restauri,
corrisponde alla descrizione del Ferro, propenderei ad
ammettere che l'Apollo del palazzo Farnese sia ap-
punto quello scoperto a Clima (2). Ciò ammettendo,
bisogna andar cauti nel dichiarare che la sua testa,
benché antica, non appartenga alla statua, perchè il
Ferro la descrive. D'altra parte è così grande la cor-
rispondenza di linee fra l'inclinazione del capo e
l'andamento generale della figura, è così uniforme col
resto del corpo la sua modellatura, che non esito a
ritenerlo antico. E si noti che fra tutte le statue con-
simili, solo il tipo di questa testa corrisponde a quello
della statua degli Uffizii, sulla cui antichità non cade
dubbio. Lo stile delle due teste, l'espressione pate-
tica del volto sorreggono, anzi rafforzano l'ipotesi di
una derivazione scopadea, se si voglia ricondurre il
motivo di queste statue al Pothos di Scopa. Le altre
statue descritte dal Ferro, e da lui definite per Giove,
Ercole, Nettuno, Mercurio, il Dioscuro ecc., non fu
possibile di rintracciarle, sia perchè non tutte immesse
nel Palazzo degli Studii, sia perchè parecchie delle
immesse furono trasformate come ho detto.

(') Gr. Kunstmythol., Apollon, p. 240.

(a) Intorno alle vicende delle statue di Cuma siamo infor-
mati dal Capaccio (Il forastiero, p. 515, ediz. del 1634) che
esse furono depositate in Palazzo, e talune si vedevano dipoi
nel palazzo degli Studi Nuovi (Museo Borbonici)). Quattro fu-
rono poi trasformate dallo scultore Tomaso Montani per deco-
rare le nicchie della facciata del Palazzo degli Studi, inaugu-
rato dal conte di Lenos il 15 giugno 1615 (Ceci, 77 palazzo
degli Sludi in Napoli Nobilissima, XIII, 1904), cioè una statua
di console, un'altra (['imperatrice, una di Minerva, una di (emina
vestita. Tra il 1606 e il 1808, anno a cui risale il più antico
documento inventariale che intorno alla statua di Apollo cono-
sciamo, nulla si sa delle vicende di essa e non è quindi impro-
babile, che sia pervenuta ai Farnese in Roma per dono del
cardinale Acquaviva.

CDMA 40

Dopo il rinvenimento di così grande importanza,
Cuma cominciò a richiamare su di sè l'attenzione di
coloro che avevano il senso dell'arte e che sentivano
ammirazione e rispetto verso l'antica grandezza. L'im-
pulso venne dall'estero. Il Cluverio, che scriveva nel
primo quarto del secolo XVII, faceva menzione delle
rovine di Cuma ancora visibili nella loro grandiosità
Dalla seconda metà del XVII secolo fino alla metà
del successivo diverse opere di scultura, asportate dagli
edilìzi pubblici della città distrutta e dalle numerose
ville circostanti, doverono migrare in Ispagna nelle
collezioni di personaggi illustri. Ma quando, con
Carlo III, la Corte di Napoli si mostrò sollecita dei
tesori di cui è ricca la Campania, vediamo l'Alcu-
bierre volgere l'occhio alle scoperte di Cuma, dove
già erasi cominciato a frugare nei columbarii e nelle
camere sepolcrali romane visibili nella necropoli (2).
E nel 1761 fu trasportata da Cuma al cavamento di
Pozzuoli, poi al Palazzo reale di Portici, una grande
lastra marmorea rettangolare con un rilievo di una
trireme, che ora conservasi nel Museo di Napoli, e di
cui pure ignoravasi finora la provenienza esatta (3).
Il De Jorio fu uno dei primissimi che aprì la schiera
di quei valentuomini napoletani, cui devesi la notizia
di molti monumenti cumani, allorché non esisteva
ancora una legge che ne vietasse la esportazione.
Nel 1809 formarono oggetto di studio per lui i bas-
sorilievi di stucco di una camera sepolcrale romana,
rappresentanti scene di oltretomba (4). Nella seconda
metà del secolo precedente aveva visto la luce l'atlante
di vedute di Cuma, Pozzuoli, Baia del Paoli, che

(') Italia antiqua, p. 1098 ab Cumis, cuins ruinae hodie-
que Cuma vocantur; p. 1102 Cuma: quod nomen hodieque in
magnis ruinis locus servat.

(a) Ruggiero, Scavi nelle prov. meridion., p. 196 (18 maggio
e 15 giugno 1755).

(") Ruggiero, op. cit., (2-9 maggio 1761) p. 32. Il basso-
rilievo reca il numero d'inventario 6601. È sicuramente della
stessa provenienza un bassorilievo somigliantissimo a questo;
entrambi hanno la faccia anteriore curva, ed appartennero quindi
ad un edifìzio circolare. Mus. Bori., III, tav. XLIV ; Guida del
Museo Naz. di Napoli, nn. 605, 606. 11 2 maggio 1761 fu tras-
portata dal monte di Cuma al cavamento di Pozzuoli la faccia
anteriore di un sarcofago con figure a rilievo (Ruggiero, p. 200).

(4) De Jorio, Scheletri cumani, Napoli, 1810; Sickler, De
monumentis aliquot graecis e sepulcro cumano recenter e/fosso
erutis (a. 1812); Olfers, Ueber ein Grab bei Kumae ecc.
(Akad. d. Wissenschaften, 4 nov. 1830), mit 5 Knpfertafeln,
Berlin 1831 ; Zimmermann, Das Grab der Tànzerin von Cuma
(ÌVestermanns Monatsheften, Februarheft 1908).
 
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