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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 22.1913

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Gàbrici, Ettore: Cuma
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https://doi.org/10.11588/diglit.11259#0092

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171

COMA

172

avrebbero in ogni tempo parzialmente bruciato o anche
disseccato i cadaveri, mi pare sicura almeno per l'ul-
tima età micenea; e non la negherei per le età ante-
riori, altrimenti non ci potremmo spiegare il dissec-
camento così radicato nella Sicilia, regione fortemente
influenzata in ogni tempo dalla civiltà egea. L'uso
di incinerare rimonta quindi nella Grecia continentale
e nelle isole al periodo della diffusione ariana, e per
conseguenza la incinerazione non sarebbe un originario
contrassegno etnico di questi popoli, ma un rito già
esistente nel bacino dell'Egeo, portato alle ultime
conseguenze e divenuto contrassegno etnico dall'epoca
della decadenza micenea presso i popoli di stirpe
ariana della penisola greca e della regione balcanica.
Abbiamo visto quanti punti di contatto ha la civiltà
dell'Italia con quella dei popoli ariani di questa re-
gione, dovuti a relazioni commerciali a traverso lo
Adriatico e lungo la valle danubiana. Dati questi
legami, si spiega come questo rito sepolcrale pene-
trasse, parallelamente alla Grecia, fra le popolazioni
ariane della valle del Po, lo quali cominciarono ad
usarlo verso gli ultimi tempi della loro dimora in
quella parte dell'Italia. Così si spiegherebbe perchè,
fra tante terremare conosciute, un numero così esiguo
abbia fatto conoscere i suoi usi funebri, i quali ri-
montano ad un periodo, in cui il cinerario non ha an-
cora forma biconica, o tendenza ad assumere tale forma.
E la discesa dell'elemento ario a Taranto è anteriore
al tempo, in cui esso aveva adottato gli usi funebri. Le

p. 45), con rinvenimento di vasi del 3° e 4° stile miceneo. Il
Vollgraff, in una delle tombe micenee, da lui scoperte a Deiras
(Argo), constatò la incinerazione {Fouilles d'Argos, in Bull.
de corr. hell., XXVIII, 1904, p. 364). Sono dell'ultimo periodo
miceneo, di passaggio al periodo geometrico, le incinerazioni
di Hassarlik (Journ. Hell. St., Vili, 64; Athen. MitU, XIII,
pp. 273, 301; Gotling. Nachrichten, Pkil. Flist. CI., 1896,
p. 233), di Phaestos {Mon. ant. Lincei, XIV, col. 533), forse
di Erganos (Amer. Joum. of Arch., V, 1901, p. 259), di Sa-
lamina (Kawadias, Catalogue des Mmées d'Atkènes, 1894,
p. 25 sg. ; Tsountas e Manatt, Myccnaean age, p. 388; Poulsen,
Die Dipylongràber und die Dipylonvasen, 1905, p. 2. S. Wide,
Gràberfunde aus Salamis in Ath. Mitt. XXXV 1910, p. 17 sgg.).

La incinerazione in Italia è un rito manifestatosi fra i
popoli ariani parallelamente a quelli della Grecia continentale,
dapprima nelle terremare, dipoi propagatosi in altre parti della
penisola. Essa non risale, giova ripeterlo, al tempo della di-
scesa ariana, ma, come tutto l'apparato della civiltà, fu un
rito acquisito per influenza delle popolazioni egee. Ed è molto
probabile che in Italia pervenisse per via delle relazioni a
traverso l'Adriatico.

necropoli di Palazzo, di Monza, Cattabrega. Coarezza
precedono di poco la necropoli di Timmari, essendo di
quel periodo, nel quale avvenne più a sud l'abban-
dono delle terremare, i cui abitatori troviamo nella
Italia meridionale, dalla parte dell'Adriatico, già al-
quanto evoluti. Difatti il cinerario ha quivi una strut-
tura diversa rispetto a quello delle necropoli quasi con-
temporanee nell'Italia settentrionale; ed ammetto che
la forma più antica, da cui esso si sarebbe sviluppato,
sia da ricercare in un tipo di vaso neolitico trovato
a Coppanevigata, che del resto trovasi iu altre sta-
zioni dell'Italia inferiore ('). Ciò apre àdito alla sup-
posizione, che il periodo di abbandono delle terremare
non dovè essere tanto breve e dovè svolgersi in mezzo
ad agitazioni e guerre, prima che la vita di queste
popolazioni potesse ripigliare il suo andamento nor-
male nei luoghi dove, come a Timmari, andò a sta-
bilirsi.

Ho detto che questa grande discesa di popola-
zione, che coincide con la rinnovata industria metal-
lica, apportò un grande sconvolgimento nella penisola,
il quale ebbe una durata non breve, prima che si
ristabilissero le relazioni commerciali fra il popolo
sopravvenuto e i discendenti dei neolitici. Questo pe-
riodo, che potrebbe dirsi « di transizione », è attestato,
a mio modo di vedere, dai non pochi ripostigli sco-
perti nell'Italia centrale a Casalecchio, Urbino, Ma-
cerata, Piediluco, Goluzzo, Manciano, Tolfa, Allu-
miere, Livorno, e, nell'Italia meridionale, a Lecce. La
quasi completa identità dei tipi di ascia, di coltelli,
di cuspidi di lancia ecc., in essi rappresentati, le
proporzioni grandi di tutti gli oggetti, particolarmente
delle fibule, la particolarità che in parecchi di tali ri-
postigli gli oggetti trovansi spezzati, dimostrano a
chiare note che l'Italia centrale, ed un po' anche
quella meridionale del versante adriatico, fu addirit-
tura inondata dai prodotti della nuova industria, la-
vorati con abbondanza grande di metallo, che secondo
me rappresentano uno dei più antichi scambii mone-
tali dell'Italia, ancor se si vogliano considerare come
stipe, essendo stati trovati con pezzi di aes rude ed
essendo stati spezzati intenzionalmente (*). Questa

(') Ved. nota 3, a col. 127.

[") I ripostigli dell'epoca di transizione non hanno valore
diverso da quelli riferibili alle età anteriori. Si crede che sieno
 
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