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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 22.1913

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Gàbrici, Ettore: Cuma
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https://doi.org/10.11588/diglit.11259#0107

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questa identità è indizio di affinità etnica, ed essa
scompare quando Clima entra nella fase ellenica.

La presenza a Clima di fibule di tipo della regione
appenninica è il segno di più stretti rapporti fra gli
indigeni dell'Italia, e di una forte preponderanza di
questi suU' elemento ariano della Toscana. Questo
fatto sta in relazione con la contemporaneità di poz-
zetti e di fosse in varie necropoli dell' Etruria, e col
formarsi delle necropoli di Roma, dove il rito della
incinerazione è bensì anteriore, ma taluni pozzetti con-
finano cronologicamente con le tombe a fossa più an-
tiche ('). Fino al tempo dei più antichi pozzetti risal-
gono le tombe a fossa di Terni, che sono contempo-
ranee a quelle di Clima più antiche. Dove l'elemento
ariano fu più forte, ivi i pozzetti durarono a lungo,
come a Caere ed a Chiusi ; ma nei grandi centri com-
merciali come Corneto, mèta dei popoli arii nonché
dei popoli indigeni, la incinerazione cessa più presto,
perchè più presto guadagna la prevalenza l'elemento
indigeno.

In questa alternativa tra la prevalenza dell' ele-
mento invasore e quella dell'elemento locale, è riposta
tutta l'importanza della civiltà preclassica in Italia.
Ma nei Colli Albani non si verifica il passaggio dalla
incinerazione alla inumazione, o per lo meno questa
è assai rara. La unicità del rito funebre dimostra la
grande prevalenza numerica dell'elemento ariano ; la

(') Eesta però saldo il concetto di anteriorità del rito
della incinerazione nelle necropoli stesse, dove riconosciamo la
promiscuità dei due riti, ma sempre a cominciare da un dato
momento, che varia da necropoli a necropoli. Secondo i miei
calcoli, molte fosse di Terni sono di pieno secolo X; le fosse
del Foro Romano primitive, contemporanee dei pozzetti, rien-
trano nella seconda metà del secolo IX; la primitiva inuma-
zione a Corneto è coeva dei pozzetti con scarabei di pastiglia,
ori, ecc., e non è anteriore alla fine del secolo IX e principi
dell'Vili. I pozzetti di V'ulci scendono anche più giù di quelli
di Corneto, perchè contengono vasi dipinti che a Corneto si
trovano più spesso in tombe a fossa (Undset, in Annali Instit.
1885, p. 34); ciò dimostra che ivi la inumazione comincia più
tardi che non a Corneto. La necropoli di Caere, teste scoperta dal
Mengarelli, si formò al tempo del massimo sviluppo del vaso
biconico e durò fino al tempo della ceramica dipinta di tipo
indigeno (di cui parlerò nel capitolo seguente) e di tipo calci-
dese. Ma a Caere l'elemento indigeno guadagnò presto il so-
pravvento; sicché vi fu un periodo, in cui la incinerazione e la
inumazione coesistettero, guadagnando sempre maggior preva-
lenza quest'ultima; tale periodo data dalla fine del secolo IX
alla metà del secolo Vili. A Vetulonia, i cui pozzetti comin-
ciano più tardi di quelli cornetani, l'elemento indigeno stentò
ad affermarsi, benché avessimo le prove della sua invadenza
fin dal tempo in cui era in uso la sola incinerazione.

forma poi dell'ossuario, attesa l'alta antichità di quelle
tombe, dimostra che ivi la civiltà preclassica ebbe in
origine una evoluzione indipendente da quella degli
Arii dell' Etruria meridionale, e che il cinerario bico-
nico si generalizzò, quando già il rito era fissato nei
Colli Albani. Chi ha visto il materiale delle tombe di
villa Cavalletti e di Marino, e lo metta a confronto
con quello di Cuma, si renderà conto della esattezza
della tradizione, la quale riconosce la priorità di Alba
di fronte a Roma. I popoli indigeni dell' Italia, con
adottare il rito della inumazione, non facevano che
riannodarsi ai tempi dell' ultima fase neolitica in quei
paesi, dove i loro antenati erano pervenuti ai riti fu-
nebri. Ma l'uso del rannicchiamento fu ripreso solo
dalle popolazioni del Piceno e dell'Umbria; presso
tutti gli altri popoli indigeni dell' Italia prevalse l'uso
miceneo del seppellimento a corpo disteso, cui la Si-
cilia stessa era finalmente pervenuta. Con troppa faci-
lità si suol ripetere, che la inumazione nei sepolcri
dell'età del ferro è dovuta alla influenza degli Etru-
schi. Il Modestov ('), limitandosi al Lazio, che lo inte-
ressava per il fine del suo libro, osservò che il rito
della inumazione fu adottato nel sepolcreto del foro
romano, non sotto l'influenza della civiltà etnisca, ma
sotto quella dei costumi della popolazione che gli
Arii trovarono e con la quale entrarono in rapporti.
Nelle necropoli albane l'inumazione non s'incontra
quasi mai, laddove nelle necropoli arcaiche della parte
orientale di Roma essa è predominante. Questo fatto
indica, secondo il Modestov, che la popolazione ariana,
pur essendo, per certi indizi, egualmente antica che
quella dei monti albani, non fu così numerosa, o al-
meno non vi restò così isolata dall'elemento indigeno,
come quella attorno al lago albano. Dopo quello che
ho detto, credo che l'isolamento degli Ariani sui Colli
Albani non si possa sostenere, senza incorrere in gravi
difficoltà; ma il giudizio del Modestov, che cioè la
inumazione non sia da attribuire agli Etruschi, è molto
esatto. Seguendo la comune opinione, nel caso di Cuma
e di tutte le necropoli a inumazione, contemporanee
ai più antichi sepolcreti d'incinerati, come quelle di
Terni, di Ancona, di Spezzano, di Torre del Mor-
dillo, ecc., dovremmo necessariamente ricorrere ad una
ipotesi diversa da quella dell'influenza etnisca; il

(*) Introduction A V histoire romaine p. '253 sg.
 
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